Gli Scorpion Child esordiscono in grande, sull’etichetta tedesca Nuclear Blast, con il loro omonimo album di debutto e lo fanno mietendo consensi pressocchè unanimi sul web e sulle riviste di settore sia per la buona fattura di cui il prodotto si fregia, sia per le buone qualità musicali di cui i 5 texani sono padroni. Non c’è un attimo di pausa fra le nove tracce che compongono il full-lenght, l’atmosfera è ruvida, pastosa, ed anche stradaiola quanto basta per far sì che la loro musica non venga inquadrata in quel filone, recentemente scomparso, di ”street rock revival ”.
Le canzoni sono ben strutturate, molto piacevoli le melodie; su tutte spicca la bella e trascinante Polygon of Eyes, il primo singolo estratto dall’album per il quale è stato girato anche un video promozionale. Notevole la voce di Aryn Jonathan Black, molto compatto il sound complessivo della band, che però nel migliore dei casi riesce soltanto ad omaggiare la musica che tanto li ha ispirati, cioè la grande musica rock degli anni ’70, che oggi prende il nome di classic rock.
Sicuramente Scorpion Child si erge una spanna sopra rispetto a tutti i lavori dei recenti pseudo imitatori del classic rock degli anni 70, Airbourne e Rival Sons tra gli altri, sta di fatto che il disco non è altro che un discreto album hard rock, con delle idee carine da cui emana un vago sapore di ”già sentito” riuscendo a malapena a far distinguere i nostri texani dagli altri gruppi hard rock in quell’enorme calderone nel quale navigano altre centinaia e centinaia di band che riprendono la lezione di Led Zeppelin, Rainbow, Black Sabbath e Aerosmith, senza aggiungervi nulla, ma davvero nulla di nuovo.
Solo per i nostalgici che oggi vogliono ascoltare un nuovo album di granitico hard rock suonato bene, con delle canzoni piacevoli, ai quali, con molta modestia e senso critico, consiglierei di riscoprire i vecchi classici, dei quali questo lavoro, come molti altri recenti, non è che una derivazione, senza rappresentarne però un’evoluzione.
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autore: Nicola Vitale