Probabilmente sarà stato un processo lungo e ponderato, ma ci piace di più immaginare che Sam Beam, aka Iron & Wine, abbia maturato la sua nuova vocazione artistica in seguito ad una folgorazione improvvisa, non tanto per esaurimento dell’interesse suo e del pubblico verso il new folk acustico, in cui ha primeggiato al pari di Devendra Banhart e Bonnie Prince Billy per dieci anni, quanto chissà magari per l’ascolto di un disco, o addirittura di un unico brano soul del passato che gli ha indicato una strada musicale.
Ghost on Ghost è il secondo lavoro di questo nuovo corso soul ed è un disco sensazionale come il precedente Kiss each other Clean, in grado di bypassare le discussioni sull’opportunità di un passaggio dalla Sub Pop alla controllata major 4AD, e dagli arpeggi acustici di un tempo a questa forma classica di soul bianco che echeggia Neil Diamond in ‘All Caught in the Briars‘, Jamiroquai in ‘Singers and the Endless Song‘, Cat Stevens in ‘Joy‘, Brian Wilson ed i Mamas & Papas nella scintillante ‘Grace for Saints and Ramblers‘.
Suono ricco, melodie ed armonie a profusione, vivacità e sentimento a piene mani ed una scrittura matura – si ascolti la prima vetta, puro stile Marvin Gaye, intitolata ‘The Desert Babbler‘ – applicata ad un genere classico come il soul, ma in ogni caso capace di imprimere sullo spartito motivi destinati a restare, e privi dell’imbalsamazione lamentevole in cui talvolta questa musica naufraga.
Beninteso, non è nelle corde di Iron & Wine alzare i toni, funkeggiare o andare in overdose sensuale, e cosciente di ciò – valga come avvertimento: se è una tigre che cercate procuratevi gli ultimi di Charles Bradley e di Sharon Jones… – il cantante mantiene le sue composizioni su uno standard riflessivo di cui la pigra e blues ‘Low Light Buddy of Mine‘ è l’archetipo, che se non fosse per la qualità artigianale l’orecchio distratto potrebbe confondere con la paccottaglia soul mattutina da Mtv, o con vecchi country soul annata 1974, e così la delicata ‘Winter Prayers’ gioca sull’essenziale con pianoforte, voce ed un coro che contrappunta senza eccedere mai, sulla falsariga di un Elliott Smith, proprio come ‘Joy’, che ha l’andamento di una ninnananna e mette in grande risalto la voce di Sam Beam.
Discreto, poco invasivo, anche l’uso di strumenti a fiato per canzoni essenzialmente composte per pianoforte, e si sente, così come nell’incalzante ‘Grace for Saints and Ramblers‘ emerge la bravura dei musicisti coinvolti, tra i quali molti jazzisti, il trombonista Curtis Fowlkes dei Jazz Passengers che fa un gran lavoro, Tony Garnier bassista di Bob Dylan, ed il trio d’archi di Antony and the Johnsons. Alla produzione c’è Brian Deck, ex Red Red Meat.
Ghost on Ghost è dunque disco vincente perchè ci fa fare la pace col soul, e lo sarà anche dal punto di vista commerciale, malgrado avaro di ariose aperture melodiche o incisività rock.
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autore: Fausto Turi