Formatisi nel 2004, i romani Lento si presentarono da subito come autori di un progetto musicale meritevole di attenzione e dalla vocazione internazionale, malgrado su di essi non ci fosse da subito unanimità di consenso: il loro disco d’esordio intitolato Earthen, per la valida etichetta discografica italiana Supernaturalcat, rappresentò all’epoca un piccolo caso, insistendo – in un periodo in cui il vento dei gusti diffusi del pubblico soffiava verso la contaminazione elettronica del drone metal… – su primordiali atmosfere doom metal lente, oscure, sadiche ed asfissianti, contaminazioni post rock con strappi repentini e grezzi in qualche occasione disorganici, per un disco formalmente bello ma senz’anima; uno di quei rari casi in cui ci si trova difronte ad un lavoro che non va completamente a segno eppure lascia in ogni caso la sensazione di trovarsi difronte a qualcosa di più grosso di ciò che l’occhio può vedere.
Passati successivamente all’etichetta tedesca Denovali, il gruppo metal strumentale formato da Emanuele Massa (basso), Federico Colella (batteria), Donato Loia (chitarra), Lorenzo Stecconi (chitarra), Paolo Tornitore (tastier ee synth) decide di spostare progressivamente il tiro, coi lavori successivi, nella direzione di un suono più organico, ricco, maestoso, progressivo, sintetizzando le monolitiche e claustrofobiche musiche di Earthen con invasate visioni prossime a Shrinebuilder, Cathedral, Neurosis piuttosto che Ufomammut, questi ultimi antichi compagni d’etichetta.
I 13 brani di questo disco di 41 minuti compongono un dipinto gotico ben rappresentato dalla importante copertina, dettaglio tratto da un altare del 1500 del pittore tedesco Matthias Grunewald, e l’iniziale ‘Glorification of the Chosen One‘, così come più avanti i brani intitolati ‘The Roof‘ e ‘The Necessary Leap‘, svelano più degli altri il carattere mistico e sacr(ileg)o di Anxiety Despair Languish, la sua ambizione di intimorire e sottomettere riecheggiando tormento eterno, fatalismo crudele, puzza di zolfo, peccato originale e rituali antichi, mentre ad un paio di lenti intermezzi piuttosto sinistri e sperimentali, tra i quali soprattutto ‘Inwards Disclosure‘, è lasciato il compito di spezzare un po’ il ritmo asfissiante ed i suoni non certo vari, com’è tipico del doom; ‘Uyielding/Unwavering‘ è un altro momento di grande effetto, tra l’altro arricchito da passaggi piuttosto articolati in uno scenario ora tormentato e malvagio, ora struggente e doloroso, con luci immprovvise a squarciare le tenebre di un suono molto grezzo, suggestivo, che il metal moderno ha un po’ dimenticato.
La mancanza di parti cantate in quest’album contribuisce a rendere tutto sinistro, fino al culmine della conclusiva ‘My Utmost for his Highest‘, paganesimo in musica, con suoni bassissimi, laceranti, su un tema non particolarmente caratterizzato e strutturato – una sorta di sperimentazione doom – ma di indubbio effetto. Ed anche ‘Questions and Answers‘ non porta una traiettoria precisa, ma barcolla come in un delirio tra un tempo pari ed uno dispari, con un effetto straniante; ‘Death Must be the Pace‘ infine anche merita una nota, rimandandoci ai Paradise Lost colossali periodo Shades of God (1992), mentre il brano omonimo, ‘Anxiety Despair Languish’ è puro doom metal stile i Cathedral della fase The Carnival Bizarre (1993).
In definitiva Anxiety Despair Languish è un disco di gran valore in senso assoluto, che inoltre sembra portare a compimento un’evoluzione che ha tuttavia richiesto davvero molti anni; ora sembra giunto il momento che i Lento riescano finalmente a capitalizzare il proprio valore anche in termini di notorietà, successo commerciale ed attenzione mediatica, per non perdersi.
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autore: Fausto Turi
Lento – “My utmost for his highest” live in the Black Forest. 07/10/2012 from Lento on Vimeo.