Dopo aver esordito nel 2011 con l’ottimo Bad Penny per Slumberland Records, Louis Jones, alias Spectrals, passa alla sempre indipendente ma più prestigiosa Wichita Recordings (Cribs, The Dodos) per il suo secondo album, Sob Story.
Louis si definisce un “one young lad L” nato e cresciuto in un paese nel nord dell’Inghilterra “dove non avere un bambino a 18 anni e la fedina penale sporca è considerato un fatto strano”.
Una presentazione così dovrebbe farci attendere un punk rock tostissimo (e punk infatti sono i suoi inizi in altre band di quartiere), e invece Sob Story è una riedizione attuale (ma è meglio dire senza tempo) del rock più classico stile Elvis Costello e Edwyn Collins.
Il pezzo d’esordio, Let Me Cave In, è quasi programmatico in questo senso, come pure il primo singolo A Heartbeat Behind: non trovereste rock&roll più classico da nessuna parte del mondo in questo momento. Del resto anche il look e lo stile del giovane Louis non potrebbe essere più lontano dal punk a cui sembra richiamarsi: la sua faccia fresca e innocente non gli permettono di andare troppo lontano come simbolo della ribellione e del nichilismo, e lo conferma anche una canzoncina pop come Karaoke o una ballata che più country-folk non si può come Sob Story.
Siamo piuttosto in un universo vicino ai vecchi classici del rock della profonda provincia britannica, e in questo senso oltre a Costello e Collins le melodie di Jones possono ricordare, per struttura ma non per esecuzione, le interpretazioni chitarra e voce di Billy Bragg.
La batteria che richiama ritmi da stadio di Milky Way potrebbe far pensare a una svolta del disco in senso punk, ma invece il pezzo non abbandona lo stile delle altre canzoni, stile peraltro degnissimo, ben interpretato da una voce tutt’altro che giovanile, che Louis si diverte a far apparire quanto mai vissuta (vedi per esempio la tirata strappalacrime di Friend Zone). L’album sale di un livello con Limousine, che pur non abbandonando il genere sembra avere una ventata di freschezza potente e una spanna più in là degli altri pezzi, con il suo ritmo veloce e solare.
Nel finale, l’album scorre facile, veloce e piacevole con Something to Cry About, un altro pezzo pop appena venato di malinconia, Blue Whatever, più classica che mai, Keep Your Magic Out Of My House, altro rock classicissimo, scandito dalle chitarre sincopate, e Gentle, con venature country, fino a chiudersi, purtroppo male, con In A Bad Way, dove Jones gioca con la voce a fare il maudit devastato alla Tom Waits ma il pezzo, tutto pizzichi di corda e voce distorti e riletti al pc, rimane incompiuto.
Se si dimentica l’ultimo episodio, però, Sob Story risulta un disco assolutamente piacevole per gli amanti del rock, a patto di non aspettarsi novità o esplorazioni: Jones non si muove un metro da una strada più che segnata dai grandi del passato, che lui ricalca con assoluta fedeltà ma anche senza grande innovazione o interpretazione personale. La sensazione è che i colpi migliori debba ancora lasciarli andare.