Spesso, in musica, esistono linee parallele ed equidistanti che viaggiano nel tempo.
Così è per gli Animal Collective e Panda Bear (Noah Benjamin Lennox), quest’ultimo membro fondatore, con Avey Tare (David Michael Portner), degli stessi Animal Collective.
Tale precisazione si rende necessaria poiché le discografie degli Animal Collective e di Panda Bear attraversano gli anni simultaneamente, tanto che quello che sarà considerato il disco d’esordio del gruppo “Spirit They’re Gone, Spirit They’ve Vanished” del 2000, vedrà origine proprio a nome Avey Tare and Panda Bear, un iconico lavoro discografico pubblicato a due anni di distanza dall’omonimo esperimento di elettronica retrò e formato canzone a firma del solo Panda Bear; “Spirit They’re Gone, Spirit They’ve Vanished” sarà destinato ad entrare nella storia con la sua ottima indie-psichedelia disturbata di elettronica (“Penny Dreadfuls”, “Chocolate Girl”, “Alvin Row”…), ma questa è altra storia che merita approfondimento particolareggiato.
E così se Lennox, dopo “Panda Bear” del 1998, nel 2004, con “Young Prayer” dà alle stampe un’astratta e decostruita visione cantautorale, significativa sin dall’assenza di titoli nelle canzoni, con il successivo “Person Pitch” del 2007 raggiunge l’apice compositivo nella fusione tra psichedelia, sperimentazione e cantautorato.
Dopo alcuni dischi (LP e EP) non sempre “entusiasmanti” ma comunque di buona fattura (per tutti “Tomboy” del 2011, “Meets the Grim Reaper” del 2015 e “Buoys” del 2019), Panda Bear decide di asciugare i suoni e conservando la matrice “folk” e retrò pubblica, con Peter Kember (Sonic Boom), nel 2022, il convincente “Reset”; su queste pagine si ebbe modo di scrivere in proposito: “Un crogiolo di pop psichedelico che attinge alla fonte degli anni sessanta;… Un equilibrio tra acustico ed elettronico si muove per l’intero disco, impreziosito da ritornelli e temi che si legano tanto all’orecchio quanto al cuore, per un viaggio auditivo/emotivo che non può non toccare le corde sia di vecchi ascoltatori, che gli anni sessanta li hanno vissuti e girati sui loro piatti, sia di ascoltatori più giovani”.
Ora è la volta di “Sinister Grift” (Domino), disco caratterizzato da due distinti momenti d’ascolto; se infatti il Side A riprende le fila di “Reset” all’insegna di un cantautorato (s)canzonato e a tratti “pop”, il Side B proietta verso notturni viaggi psichedelici. In entrambi i casi l’assenza di eccessive sovrastrutture e di sofisticazioni si dimostra vincente, con l’ago della bussola sempre diretto verso un nostalgico sapore di tempi ormai andati come da subito chiarisce in apertura la bella “Praise”.
Se “Anywhere but Here” è ballata con incursioni nello spoken affidato a Nadja Lennox, un’aria assolata caratterizza e accomuna la più che riuscita “50mg” (con la lap steel guitar di Walsh Kunkel in evidenza), “Ends Meet” che lambisce mari caraibici scossi dalle tenui onde noise di Dave Portner e “Just as Well” solcata dal synth di Josh Dibb.
Chiude il Side A “Ferry Lady” che, tra orecchiabilità, interferenze e enfatizzazioni, cesella l’ennesimo colpo messo a segno da un ispirato Lennox.
Girato lato (come detto) il registro cambia; “Venom’s In” incupisce i toni proiettandoli verso allucinazioni più psichedeliche, sonorità che precipitano in ovattati e ipnotici abissi con “Left in the Cold” mentre un’orma lisergica da west coast scorre attraverso “Elegy for Noah Lou”.
In chiusura di disco “Defense” (con Cindy Lee alla chitarra) che contempera i distinti umori dei due lati, proponendo un formato “canzone” in stile Side A, turbato da mesti strali di elettrificati.
“Sinister Grift” mostra così un doppio per un Panda Bear ispirato e diretto.
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