E’ un soleggiato mezzogiorno di aprile e in occasione della tappa partenopea siamo in attesa di un musicista che ha fatto la storia della musica rock italiana. Desideravo incontrarlo da anni, sin dai tempi dei gloriosi Litfiba degli anni ’80.
Gianni Maroccolo bassista, tra i più influenti nella scena indie in Italia, ci offre un caffè e si siede col suo immancabile sigaro in giardino per una chiacchierata con la “Fanza” – come la chiama lui – tra le più vecchie e gloriose in Italia.
Gianni è a Napoli per il tour Reunion-Trilogia 1983-89 che riprenderà con altre date estive .
Questo tour lo vede di nuovo assieme a Piero Pelù alla voce, Ghigo Renzulli alle chitarre, Antonio Aiazzi alle tastiere; tutti assieme dopo 24 anni.
Gli chiediamo, in confidenza, se pensa che potrà avere un seguito in sala di registrazione questa reunion e ci dice che “se le cose verranno così, naturalmente, non me la sento di escluderla l’ipotesi ma comunque non sarebbe semplice se si dovesse registrare un album un po’ rock, un po’ indie, un po’ anni ’90, un po’ anni ’80 ecc… non avrebbe tanto senso e come si suol dire ‘Chi vivrà vedrà’ ”.
Maroccolo abbandonò i Litfiba dopo il ”Pirata tour” del 1989 unendosi ai CCCP-Fedeli alla Linea, assieme all’ex batterista dei Litfiba Ringo De Palma che verrà poi a mancare l’anno dopo. Da allora inizia una stretta collaborazione con CSI prima, e nei PGR poi, lanciandosi soprattutto nell’ avventura di produttore; un nome su tutti i Marlene Kuntz, ma anche come solista nel progetto A.C.A.U e infine arrangiatore, scrittore e art director delle label Consorzio Produttori Indipendenti e Alkemi Lab.
Proprio a riguardo di questa tue molteplici attività, quale consideri l’ambiente in cui ti trovi più a tuo agio?
Credo stare dietro ad un banco a registrare, o a produrre tanto non fa tanta differenza. Per me l’importante che ci sia un intesa con le persone con le quali lavoro, sia a livello umano che artistico. Deve coinvolgermi davvero. Eccezione è il concerto, una cosa a sè stante … suonare in giro, viaggiare, il rapporto con la gente, col pubblico è forse una delle cose più belle per chi come me fa musica.
Come siete arrivati a questo vero e proprio tour reunion della Trilogia? Di nuovo assieme a Piero e a Ghigo, cosa è stato a farti decidere di ritornare con loro sul palco dopo il concerto del giugno scorso a Firenze dove vi ritrovaste dopo 23 Anni?
Spesso si rincorrono dei desideri, ognuno ha degli obbiettivi che vorrebbe raggiungere ma più ci si accanisce a volte e più spesso succede che questa cosa si allontani.
Era tanto che desideravo far qualcosa assieme a loro anche se non ci eravamo mai persi di vista del tutto. Avevo anche provato qualche anno fa a proporre di rifare – tutti assieme – 17 RE ma evidentemente i tempi non erano ancora maturi ed ho pensato:”Vabbe’ mettiamoci una pietra sopra!”
Quindi è partita da te comunque una certa voglia di risuonare quell’ album?
In pratica già nel 1993-94. Avevo un rapporto stretto con un sacco di persone che mi seguivano, erano gli anni con cui iniziammo con i CSI; creammo un rapporto diretto con loro rendendoci conto che le cose già stavano cambiando. All’inizio avevamo un bollettino online molto simile ad una fanzine come Freak Out e da allora siamo arrivati pian piano fino all’era di Facebook dove esternai questa mia intenzione. Io comunque volevo metterlo in scena questo progetto anche magari facendo cantare a diversi cantanti i pezzi di 17 Re; finché si arrivati all’anno scorso quando ci fu proposto, a me ed Antonio Aiazzi, di suonare qualche pezzo durante un concerto/festa in onore di Ringo a Firenze. Da lì il passo è stato naturale anche se onestamente un po’ di preoccupazione e timore c’erano. Le reunion nove volte su dieci son dei “pacchi”.
Sapevo che una cosa del genere avrebbe coinvolto, come sta succedendo, un sacco di gente; ma poi con il concerto dell’ anno scorso è sopraggiunta una certezza: le generazioni che i Litfiba coinvolgono, che sono tre, avrebbero potuto convivere in questa festa, cosa che sta succedendo effettivamente anche in questo tour.
Che sensazioni e pensieri ti stanno accompagnando quindi in questo tour? Ne siamo stati testimoni già dalla prima data dell’Alcatraz che trapeli pura gioia nello stare sul palco.
C’è indubbiamente una gioia ritrovata in me, probabilmente invecchiando o crescendo (dipende da come la si vuol vedere) si guarda la vita con prospettive diverse. Io infatti 5-6 anni fa avevo quasi deciso di smettere di suonare, dopo aver attraversato 30 anni di musica ed aver co-fondato e contribuito a costruire progetti come Litfiba, Csi e i Marlene Kuntz non pensavo che un altro gruppo di quella importanza potesse coinvolgermi, non credevo di avere più energie e voglia dopo che mi era andata di “culo” per tre volte con queste band meravigliose. Non mi interessava tanto quello che succedeva intorno. Decisi di rimanere dietro le quinte occupandomi di produzione e management mettendo su un piccolo centro di produzione come l’Alkemi Records e lavorando con MK e Samuele Bersani prestando anche un occhio a nuove realtà producendo gruppi campani come Denise e Bastian Contrario.
Puoi fare tutti i programmi che vuoi ma la vita ti porta dove cazzo vuole lei alla fine … dopo aver avuto 13 mesi fa un infarto ed essendomi ripreso dopo esattamente 5 minuti (è stata più un’esperienza pschidelica che drammatica grazie a Dio) tutto si è ribaltato: ho capito che la cosa che più amo fare è suonare e quindi la gioia che traspare nel suonare con i Litfiba è forse una serenità raggiunta in tarda età e ho capito cosa voglio fare da grande… una sorta di rinascita non solo dal punto di vista fisico.
Dopo anni che non ci si parlava mi sono ritrovato con Francesco Magnelli, (ex musicista ed arrangiatore con Litfiba e Csi) e con Massimo Zamboni (ex chitarrista di Cccp e Csi) ed è stato davvero toccante ricontrarsi dopo che non ci si vedeva dal ’99!
E’ come se stessi ritornando a casa dopo un lungo percorso.
Sul palco oltre la gioia di ritrovarsi con Piero e gli altri ci sono le facce e le emozioni del pubblico, è davvero impagabile ed allo stesso tempo c’e’ una specie di dimensione personale ritrovata.
Riguardo al tuo ultimo lavoro VDB23 con Claudio Rocchi volevi porre l’accento su una rinascita appunto, su un numero che però riporta al civico della sala prove a Firenze dove tutto iniziò….il 32 di Via De Bardi?
Questo lavoro doveva essere una specie di addio per me, un arrivederci; poi come sempre ho deciso di condividerlo con altri amici e colleghi finchè c’e’ stato l’incontro con Claudio che è un artista che deriva dal prog anni 70, sound che per giunta non ho mai amato particolarmente. Le cose poi si sono evolute e siamo arrivati ad una suite che si chiama Rinascere cantata da 8-9 cantanti tutti amici per giunta. Tutto il progetto poi ha portato anche a bypassare etichette, distribuzione con la copertura totale dei costi di produzione grazie al Crowdfunding che ci ha permesso sostanzialmente di avere un rapporto più diretto col pubblico interessato a ciò che stavamo producendo.
Ritornando al periodo “epico” delle tournèe con i Litfiba negli anni ’80, ci sono anneddoti particolari che tu ed il tuo Basso Fender Elite, più volte sopravvissuto come hai scritto, ricordi con piacere?
In pratica i periodi piu belli dei Litfiba son divisi in due: quando all’inizio ci incontrammo (anche in maniera casuale) e iniziammo a suonare in cantina senza un preciso scopo, senza l’idea di produrre un disco ma solo per il piacere di farlo. L’avere un “senso di appartenenza” ti faceva sentire bene. Nella nostra realtà, Firenze, si respirava aria nuova dopo un brutto periodo di crisi economica e terrorismo; iniziavano a sorgere radio locali, club dove suonare e tanti tanti gruppi. Poi ci fu il periodo post pubblicazione di “Desaparecido” dell’85 quando iniziammo costruirci anche una certa credibilità in Europa vivendo a stretto contatto, viaggiando in furgoni scassati, subendo controlli alle dogane di paesi dove ti controllavano anche il buco del culo. Ed ogni concerto di quel periodo è stato davvero “epico” nel vero senso del termine, il classico periodo sesso, droga e rock’n ‘roll con Ringo che sul palco spaccava la batteria alla fine dei live ed io, per non essergli da meno, lanciavo il basso in aria – o buttandoglielo addosso mentre lui continuava a prendere a pedate la batteria – col risultato di spaccare il manico del basso.
Di aneddoti del genere ce ne sarebbero tantissimi infatti sto cercando di raccogliere qualche memoria a riguardo per realizzare un libro, più che altro una storia raccontata in fotografie da chi ha avuto a che fare con noi in quegli anni.
Per questo live siete ritornati a lavorare con Giorgio Canali, come tecnico audio, col quale tu hai sempre per altro collaborato. E’ stato per cercare di ottenere quel sound vicino agli anni 80?
E’ stato naturale lavorare con Giorgio, è dal 1986 circa che collaboriamo. Personalmente per quanto riguarda le parti di basso non ho cercato di ricreare fedelmente il suono dell’epoca ma più che altro le atmosfere e più o meno degli arrangiamenti simili con la differenza che ora in sala prove abbiamo potuto ognuno di noi tagliare un giro in un pezzo che non ti era mai piaciuto o fare piccoli cambiamenti.
Con Giorgio, essendo lui simile a me in certi aspetti, è stato semplice, è venuto a sentire una delle prime prove e si è continuato a lavorare quasi “allo sbaraglio”, come si faceva all’epoca, cercando di mantenere il tour piccolo nei costi passando direttamente dalla saletta prove di Piero ad un’altra saletta a Firenze per poi arrivare in Svizzera alla data zero a Gennaio 2013 e da lì siam ripartiti con Giorgio che ha fatto come sempre il sesto elemento dei Litfiba.
Potresti spiegarci il tuo particolare coinvolgimento quando suoni live il brano “Louisiana”? E’uno trai tuoi pezzi preferiti di sempre?
Non saprei spiegartelo. E’ un pezzo bellissimo al quale diede un contributo importante Francesco Magnelli. Fù composto da tutti ed è comunque uno dei pezzi più toccanti scritti dai Litfiba. Mi commuove letteralmente suonarlo, al pari di “Annarella”dei CCCP.
A questi brani lego tanti ricordi. Penso a quando i CCCP si ritrovarono tutti assieme per un mese in una casa in Emilia ed Annarella fù l’ultimo pezzo suonato da Ringo. Nel videoclip di quel brano si nota ad esempio quando Annarella parla nell’orecchio di Massimo Zamboni. Lì i Cccp si stavano per sciogliere, invece sembra una scena romantica ma in realtà stavano litigando. Louisiana invece riesce a commuovermi oltre per la sua bellezza anche perchè è un pezzo con degli arrangiamenti equilibrati, quasi perfetto.
E’ raro che le emozioni durante un brano come questo siano univoche, uguali tra la band e il pubblico che la canta. E’ bellissima per quello che dice nel suo testo e quindi per me resta un piccolo “rito” quando la suoniamo ai nostri concerti!
Che sostanziale differenza trovi tra chi oggi – nell’epoca della musica on line- inizia a suonare e te che negli ’80 ti ritrovasti in cantina ad iniziare la tua avventura ?
Penso che oggi per essere consapevoli dell epoca che stai vivendo devi inevitabilmente rapportarti a quello che è successo prima . Non sono mai stato un nostalgico o uno che vive nel passato, ho sempre anche nei rapporti personali chiuso un periodo cercando di andare avanti senza pensarci più a quello che è stato ma tenendo ben presente comuque quello che c’è stato prima di me. E’ fondamentale anche per chi ha voglia di far musica oggi. Non a caso trovi ancora ragazzi con la maglietta di Jim Morrison o dei Led Zeppelin, chi ha lasciato un segno tangibile lo ha lasciato per sempre secondo me, e chi inizia a far musica oggi in un certo senso è avvantaggiato avendo a disposizione – per formarsi – molte opportunità.
Da un altro lato oggi il web è un oceano gigantesco nel quale devi saper ricercare ciò che ti colpisce davvero, puoi trovarci anche tanta bella musica perchè di musica bella ce ne sarà sempre.
Ti è capitato di incontrare a livello personale artisti che ti hanno influenzato negli anni? Oltre a quelli con i quali hai collaborato artisticamente.
Artisti che possono esser stati un riferimento per me m’è capitato di incontarli più al tempo dei Litfiba come quando suonammo con gli Stranglers, io adoravo il loro bassista e la loro band, poi quando incrociammo i Tuxedomoon nel periodo CSI, infine l’incontro al quale aspiravo sempre è stato quello con Franco Battiato.
Poi il collaborare per anni con Giovanni Lindo Ferretti per me è stata una delle cose più belle della mia vita, è una persona indescrivibile per chi non la conosce, e mi fanno sorridere tutte le accuse che gli sono piombate addosso nell’ultimo periodo. Per me è stato un artista che mi ha aperto la mente. All’inizio avevo anche delle difficoltà nel lavorarci assieme, non riuscivo a vederlo solo come il mio cantante, era Ferretti per me e in fin dei conti anche io gli ho creato qualche difficoltà; mi chiamava “il capo” perchè quasi sempre mi incaricavo di organizzaro tutto io nelle produzioni poi è bastato litigarci un paio di volte e siam diventati amici ed ora fa parte di me.
Abbiamo attraversato un pezzo di vita assieme, tutti momenti vissuti con una profondità pazzesca. A volte era difficile aver a che fare con Ferretti ma poi al momento di creare non ce n’era per nessuno. Lui scriveva e noi dei Csi pensavamo agli strumenti.
Credo che, almeno come musicista, posso dire di aver lasciato un piccolo segno in questa vita. Quando un giorno arriveranno i “marziani “sulla terra, e non ci sarò più, e vorranno sapere cosa succedeva su questo pazzo pianeta qualcosa li porterà a me. Credo di potermi ritenere soddisfatto di aver lasciato un segno tangibile.
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autore: Peppe Farella