Per la mia generazione, cresciuta negli anni ottanta, il Giappone è da sempre legato emotivamente ai cartoni animati più che alla musica che al più, durante quegli anni, si identificava in Yūji Ōno per le sue splendide musiche di Lupin III (anche in tale caso si restava, comunque, nell’orbita dei cartoni giapponesi).
Il Giappone in musica è, nel tempo, entrato nella mia vita a piccoli passi; prima, nell’adolescenza la ricerca delle stampe giapponesi di dischi non “distribuiti” con regolarità nel circuito europeo, principalmente di rock progressivo (ricordo, in particolar modo, “McDonald and Giles” di Ian McDonald e Michael Giles, “Lady Lake” dei Gnidrolog, “I Spider” dei Web…) e di jazz (per tutti quelli di Jaco Pastorius della DIW, ma soprattutto il suo “Invitation”) e la curiosità nel constatare come molti album che acquistavo fossero registrati dal vivo nella terra del sol levante (dallo storico “Made In Japan” dei Deep Purple, passando per il monumentale “Sun Bear Concerts” di Keith Jarrett, per “Bob Dylan At Budokan” di Bob Dylan, per “Just One Night” di Eric Clapton, pre “Live in Japan” di John Coltrane… fino a giungere alla VHS dei King Crimson “Live In Japan”).
Successivamente, nella postadolescenza e nell’età adulta, progressivamente, la “vera” scoperta dell’universo musicale nipponico attraverso l’ascolto di Keiji Haino, di Ikue Mori, dei Ruins, dei Boredoms, dei Ghost, degli Acid Mothers Temple, dei Taj Mahal Travellers, di Toshinori Kondō, di Phew… fino alla folgorazione data dall’elettronica di quel genio di Ryoji Ikeda.
Poi, l’incontro con le sonorità di Eiko Ishibashi di cui ho avuto modo già (in parte) di parlare su queste pagine in occasione della sua collaborazione con Jim O’Rourke, sodalizio che ha visto i due musicisti esibirsi dal vivo il 24 marzo 2023 al Teatro Antonio Ghirelli di Salerno (si rimanda a quanto scritto qui).
In quell’occasione grande fu lo spazio dato alla sperimentazione e all’improvvisazione “ragionata”, certificando l’ottima attitudine della Ishibashi a tali linguaggi musicali: “per circa un’ora, il pubblico è stato immerso in un paesaggio sonoro composto e decomposto, in cui la musicalità di una natura post industriale ha trovato il suo punto di equilibrio con l’elettronica e le elettrificazioni e, al contempo, la sintesi sonora la crasi con i respiri acustici del flauto della Ishibashi, trasportando l’ascoltatore in un’ancestrale foresta biomeccanica … Lo spazio dedicato all’improvvisazione è stato assorbito dagli sprofondi compositivi (almeno così è apparso a chi scrive), emergendo più come screziatura di colore o come matrice sì primaria, ma poi codificata in un linguaggio strutturato” (si era detto in proposito).
La cosa sorprendente, però, per chi ha dimestichezza con la produzione discografica della (sola) Ishibashi, è constatare la sua capacità di muoversi con estrema naturalezza e disinvoltura tra “canoni” musicali differenti, con un’attitudine alla sperimentazione, passando (ad esempio) dall’interessante “Carapace” del 2011, al pianistico e dai toni jazz “I’m Armed” del 2012, al bello, composito e dalle tinte progressive “Imitation of Life” del 2012 (in collaborazione con Tatsuya Yoshida dei Ruins, la Ishibashi nel 2007 ha pubblicato “Slip Beneath the Distant Tree”, di marcata impronta progressive anni settanta con tanto di una versione di “Time Table” dei Genesis e “As Long As He Lies Perfectly Still” dei Soft Machine), al più visionario, avanguardistico e riuscito “The Dream My Bones Dream” del 2018, alla sperimentazione di “For McCoy” del 2021, alla scrittura di colonne sonore come “Drive My Car” del 2021 ed “Evil Does Not Exist” del 2023; un’artista capace poi di dare alle stampe, nel 2014, finanche lo splendido esatto manuale di alt pop “Car and Freezer” che probabilmente rappresenta il vertice della produzione firmata Eiko Ishibashi (menzione a parte per le tante collaborazioni che meritano un particolareggiato approfondimento).
Ora, anticipato dal singolo “Coma”, brano caratterizzato da morbide sonorità…, la Ishibashi ha dato alle stampe l’ottimo “Antigone” (Drag City – prodotto con Jim O’Rourke e la cui uscita è prevista per il 28 marzo 2025), “a chilling look at our already-alternate reality, coming from inside Eiko Isibashi’s own head” (come si legge dal comunicato).
L’apertura del disco è affidata alla bella “October” che, dopo un abbrivio da orchestrazione e suoni, muta in alt pop caratterizzato da un malinconico cantato e da “disturbi” di elettronica.
Dopo “Coma” è la volta di “Trial” dalle sfumature fusion a cui segue la notturna “Nothing As”.
Con “Mona Lisa” continua il viaggio tra luci soffuse e chiarore di luna che si veste di pianoforte e “mantice” in “Continuous Contiguous”.
Gli 8:33 minuti di “The Model” offrono un momento d’ascolto “composto” nella sua misurata sintetica sperimentazione.
In chiusura, con “Antigone”, torna il pianoforte e con esso sonorità “vellutate” tra cui emergono orchestrazioni che riempiono senza invadere e congedano un disco che si fa forte del suo equilibrio e della sua compattezza ed eleganza e di una Eiko Ishibashi che si conferma musicista a tutto tondo.
https://eikoishibashi.net/
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https://eikoishibashi.bandcamp.com/album/antigone
Ph. credit: Seiji Shibuya