Davvero non comprendo tutto questo entusiamo per l’ultima fatica – quarto full-lenght – di Jon Hopkins, londinese classe 1979 introdotto nei giri giusti del mainstream grazie a celebri collaborazioni con Coldplay e Brian Eno, giusto per fare i nomi più famosi.
La sua formazione accademica unita ad un passato ambient si sente proprio tutta in Immunity, ma questi elementi che potrebbero costituire un valore aggiunto in realtà si rivelano all’ascolto solo inutili zavorre che impediscono all’elettronica qui proposta di decollare per traiettorie più visionarie che oggi è il minimo sindacale richiesto all’elettronica stessa da quando il rock non è più capace di perseguirle.
Si vorrebbe quindi accedere ai piani intellettuali del dancefloor utilizzando il passo della minimal techno e rivestendola di sonorità vecchie quali effetti glitch che sgretolano la texture quasi disturbandola sino allo sfrigolìo e drones ambient tipo bave vocali che hanno almeno vent’anni. Altro che nuovo!
Non è sufficiente l’oscurità generale a conquistare lo spazio sonoro intorno e l’effetto finale che si vorrebbe ipnotico finisce per essere solo apatico. Noia dunque, con un manierismo che si propaga subdolo e che raggiunge il suo acme negativo negli inserti di piano.
Un peccato perché l’esperienza c’è ma è asservita a degli schemi arcaici assemblati per un pubblico radical-chic che non vuole chiedere di più ad una scena elettronica alla quale noi imperativamente dobbiamo chiedere di più.
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autore: A.Giulio Magliulo