Presentata a Cannes, l’ultima opera di Paolo Sorrentino divide critica e pubblico tra indignati e ammaliati. Ma il cinema, è risaputo, si presta poco e male al tifo da stadio. Ha bisogno di sedimentarsi, di maturare, proprio come l’enigmatica protagonista di Parthenope, l’ultimo film dedicato a Napoli dal cineasta premio Oscar partenopeo.
Parthenope (interpretata da una ammaliante Celeste Della Porta) scivola sullo schermo, ondeggiante, quasi ipnotizzante, con quell’andatura innaturale: una finzione, com’è il suo mito.
È nata dalle acque, come una Venere. Esce dall’acqua come una spumosa Afrodite, una novella divina e instagrammabile, appena coperta da bikini comuni, quasi adolescenziali, come la bellezza che promette di non perdere mai nel tempo.
E invece mente.
Succinta, vaga come la testimonial di chissà quale eau de parfum, tra gli anfratti di una Capri che non tradisce mai, che sa rubarti l’anima e chiederti di restare per sempre se appena la scorgi dalla Migliera.
Ricoperta d’ori si abbandona al potere temporale di un cardinale (Peppe Lanzetta) taurino e animale, come quel popolo che continua ad inginocchiarsi davanti alla finzione del suo miracolo. O forse è tutto soltanto un inganno, un gioco delle parti. Dov’è la miscredenza a farla da padrone, in un luogo in cui tutto è sacro e perciò sacrilego.
Parthenope, metafora di quell’altra Parthenope, la città che ha smesso di essere una (i)dea, quando si è fatta carne e ossa e corpo (da vendere al mondo intero).
Creatura semidivina, com’è semidivino il tempo dell’adolescenza, quando si può essere tutto, fuorché pensarsi vecchi, pronti alla pensione, quando non alla morte, Parthenope è l’incarnazione di una città che ha perso la sua anima, la sua allure di eternità, condannata al decadimento, più che al ritorno.
Creatura marina, torna ma in una N(e)apoli(s) che già non è più. E poco importano gli sproloqui di intellettuali e critici che si sono strappati le vesti osteggiando un film che solo qualche anno prima avrebbero osannato ed esaltato come una divinità. Un’opera autoriale, avrebbero spergiurato, in puro stile sorrentiniano, dovremmo dire, di quelle che già vediamo alla conquista dell’Oscar.
Del resto non gli manca nulla: né lo stile, né le tematiche che sono ormai emblemi del Sorrentino’s touch, quel barocco visivo, quell’ostentazione dell’immagine che si fa quasi pornografia. Sorrentino si fa Tropicamide (il liquido che viene iniettato negli occhi per spalancare la pupilla e consentire l’analisi del fondo oculare, ndr): allarga lo sguardo fino quasi a squarciarlo, come di fronte all’incedere quasi perverso della camera sul corpo inquietante del figlio del professor Marotta. Un gigante fatto d’acqua e sale, quello, un bambinone allattato a tv e oscenità, una sacca pronta a scoppiare, figlio, non del mare come invece è Parthenope, ma di una società ipnotizzata e perciò incapace di guardare.
Di tutt’altra pasta è Parthenope, figlia del mare, – e perciò Dio non le vuole bene – , come lo è Marotta, alla quale la giovane è legata da un rapporto viscerale, quasi di filiazione.
È un sapersi il loro intimo e profondo, un lento avvicinarsi che ha bisogno di fiducia, prima di farsi intimità. Ma l’intimità di Parthenope è sempre appena accennata, destinata a non farsi seme, come nell’incontro di elezione con lo scrittore John Cheever (Gary Oldman) o nell’amore impossibile e fraterno con Sandrino (Dario Aita) e Raimondo (Daniele Rienzo).
La giovane è destinata a mantenersi sterile, anche quando per un attimo ci lascia credere di aspettare un qualcosa dopo una notte da bulli e pupe. Non ci sono figli per una Parthenope che non può essere mito. Finita la sua ultima estate, lascerà i suoi lidi per approdare in una terra lontana e ripararvisi per quarant’anni.
Troppo poco il tempo della gioventù. Troppo poco quello per riconciliarsi. Il film di Sorrentino che, a distanza di mesi dalla prima a Cannes lascia ancora discutere e sbraitare, sorprende e richiama come una sirena. Campione d’incassi (ad oggi di 4.595.012 euro, ottenuto in poco più di una settimana in 585 sale), si conferma il film italiano più visto della stagione. Sono soprattutto i ragazzi ad approdare numerosi al cinema, in un tamtam che ha visto il regista occupare tutti i canali delle generazioni Millenials e Z: dal fenomeno “Tintoria” di Daniele Tinti e Stefano Rapone, alle ospitate da Dario Moccia e altri.
Forse è il suo film più visto dai ragazzi e forse il più criptico. Quello che sorprende per una volta, è l’assoluta irrilevanza della musica, altrimenti così importante nella poetica di Sorrentino.
Parthenope non canta per lui, Napoli gli ha spezzato la voce.
SCHEDA DEL FILM
Data di uscita: 24 ottobre 2024
Genere:Drammatico
Anno:2024
Regia: Paolo Sorrentino
Attori: Gary Oldman, Celeste Dalla Porta, Silvia Degrandi, Isabella Ferrari, Lorenzo Gleijeses, Peppe Lanzetta, Silvio Orlando, Luisa Ranieri, Stefania Sandrelli, Alfonso Santagata, Francesca Romana Bergamo, Dario Aita, Paola Calliari, Biagio Izzo, Nello Mascia
Paese: Italia
Durata: 136 min
Distribuzione: PiperFilm
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Fotografia:Daria D’Antonio
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Produzione: Fremantle, The Apartment Pictures, Saint Laurent, Numero 10 e Pathé