La prima domanda che sorge spontanea è: perché? Perché nel 2024 qualcuno ha sentito la necessità di fare uscire un album a firma MC5 a ben 53 anni di distanza dal terzo ed ultimo disco con la line up originale: Rob Tyner (voce), Wayne Kramer (chitarra), Fred ‘Sonic’ Smith (chitarra), Michael Davis (basso) e Dennis “Machine Gun” Thompson (batteria).
“High Time” (Atlantic, 1971) poneva fine alla rapidissima parabola di quello che insieme agli Stooges viene considerato come il gruppo proto-punk per eccellenza che segnò per sempre la storia della musica rock, spingendone la furia iconoclasta attraverso tre dischi non solo connotati musicalmente, come non si era sentito mai prima di allora, ma soprattutto per la lotta radicale della controcultura al capitalismo che non è mai scesa a compromessi e che veniva ispirata dal loro manager John Sinclair, figura di spicco del controverso movimento delle White Panthers.
Con tre membri originari morti da tempo (Tyner, Smithe e Davis) e con gli altri due Kramer e Thompson che li hanno raggiunti nei primi mesi di quest’anno, poco dopo avere terminato le registrazioni, che senso ha avuto vergare questo disco con il nome sacro degli MC5? Heavy Lifting (earMUSIC) è sostanzialmente un disco solista di Wayne Kramer, visto che Thompson suona solo in due brani, che ha co-scritto 12 delle 13 canzoni dell’album insieme al cantautore di Oakland Brad Brooks. E poteva benissimo uscire a suo nome per concludere degnamente una carriera da solista che in tutti questi anni è stata portata avanti più che dignitosamente. Invece sotto la spinta del famoso produttore Bob Ezrin, meglio conosciuto per il suo sodalizio di mezzo secolo con Alice Cooper, oltre che per aver diretto classici degli anni ’70, da The Wall dei Pink Floyd a Destroyer dei Kiss, a spingere Kramer a marchiare Heavy Lifting come un disco degli MC5.
Una scelta che resta incomprensibile proprio perché era stato lo stesso Kramer a tagliare i ponti con i vecchi compagni dopo che fu arrestato per spaccio droga e insieme a Sinclair finito dietro le sbarre. Ma soprattutto perché come lui stesso ha scritto nella sua autobiografia “The Hard Stuff”, la produzione originale musicale degli MC5 non era perfetta tanto da cercare di bloccare l’uscita del seminale” Kick Out The Jams” perché, riteneva che la sontuosa performance live della band quella sera fosse al di sotto della media. Il secondo album, “Back In The USA” del 1970, invece, era “troppo pulito, troppo controllato”, e causò rogne interne poiché il bassista Michael Davis non riusciva a farcela tecnicamente, e il finale dell’anno successivo High Time per lui non fece altro che documentare la loro disintegrazione.
Ciononostante “Heavy Lifting” è un disco che sta alla storia degli Mc5 come “Cut The Crap” sta a quella dei Clash: ne riporta il nome sulla copertina, ne chiude la discografia, ma è lontano anni luce dal manifesto della scena di Detroit. A volere essere buoni qualche affinità con “Kick Out The Jams” la si può anche trovare nelle invettive politiche di brani come “Barbarians at the Gate” scritta in relazione all’assalto al Campidoglio dei seguaci di Trump nel gennaio del 2021, oppure nella chiamata alle armi di “Change, No Change” che tratta del tema del razzismo, mentre “Hit It hard” invita le masse proletarie a c”combattere il potere” risultando nella tematica forse il più affine ai bei tempi che furono. Mentre la musica spazia tra hard-rock (la title track), momenti funky (“Hit It Hard”) e tiepidi richiami al glorioso passato (“Can’t Be Found”).
“Heavy Lifting” in sostanza è un disco di una vecchia gloria del rock infarcita di super ospiti che gli rendono omaggio collaborando nei vari brani, tra cui Slash, Tom Morello, William DuVall (Alice in Chains), Vernon Reid (Living Colour), Don Was e Tim McIlrath (Rise Against), tutti musicisti legati all’attivismo politico. Insieme a Vicki Randle (Aretha Franklin), Stevie Salas (Parliament Funkadelic, Rod Stewart), Abe Laboriel Jr. (Paul McCartney), Winston Watson Jr. (Bob Dylan) e Joe Berry (M83).
Un parterre di tutto rispetto che ha dato corpo ad un onesto disco di rock AOR che non riporta certa al fuoco sacro dei Motor City 5 ma che se lo si ascolta come un disco solista di Citizen Wayne può avere più di uno spunto interessante, ma che non scioglie affatto il dubbio del perché sia stato pubblicato con la sigla MC5.
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