44 anni dopo l’uscita del loro disco d’esordio, il seminale “Los Angeles” (Slash, 1980), gli X decidono di uscire di scena con quello che annunciano essere il loro ultimo album in studio. Per farlo hanno usato una roboante ma veritiera introduzione volta a farli conoscere a chi non ne ha incrociato la strada in questo quasi lungo mezzo secolo: “Essere grandi è una cosa. Rimanere grandi per molto tempo è un’altra cosa. Gli X sono stati grandi per 47 anni, costruendo la loro leggenda come uno dei gruppi punk più originali d’America con sette album tra il 1980 e il 1993”.
Ma prima di addentrarci nell’analisi di “Smoke & Fiction” che segue l’ottimo ritorno sulle scene di “Alpahbetland” (sempre per la Fat Possum, 2020) occorre ricordare ai più giovani quanto la band formata dalla cantante Exene Cerkvenka, il chitarrista Billy Zoom, il bassista/cantante John Doe e il batterista DJ Bonebrake ha rappresentato nella storia del rock e del punk rock californiano, che li ha visti essere dei veri e propri prime movers accanto a band del calibro di Germs, Screamers, Black Randy and the Metrosquad e Weirdos con i quali dividevano i palchi dei locali e animavano le feste di una generazione che verrà abilmente documentata dalla regista Penelope Spheeris nel film “The Decline of Western Civilisation”.
Un mondo che andava velocissimo e spesso verso l’autodistruzione come cantavano in “The World’s a Mess: It’s In My Kiss” uno dei brani di punta del disco di debutto “Los Angeles” prodotto da Ray Manzarek dei Doors che li vide suonare una cover velocissima di “Soul Kitchen” che a stento riconobbe, ma che fece scattare la scintilla che porterà il tastierista della band di Jim Morrison a una collaborazione artistica durata per i primi quattro album della band.
“Los Angeles” è un disco che mette in scena una poetica dura facendo risaltare il contrasto esistente tra lo sfarzo glamour della città hollywoodiana, e i tormenti di una gioventù che ne abitava il ventre molle. Il punk di Los Angeles tra il ’77 e l’80 non è stato un periodo facile né per i gruppi né per i fan, un mix di ragazzi della classe operaia che cercavano di superare l’era Reganiana provando a rimanere sani di mente, con la musica come elemento indispensabile per la sopravvivenza e talvolta come aggressore, anche se non tutti ce l’hanno fatta, come dimostra la tragica parabola del leader dei Germs, Darby Crash.
Con i successivi album “Wild Gift” (1981), “Under The Big Black Sun£ (1982) e “More Fun In The New World” (1983), gli X si sono rapidamente affermati come una delle migliori band della prima ondata della fiorente scena punk di Los Angeles, grazie anche a brani memorabili come “Johnny Hit and Run Paulene”, “Los Angeles”, “The World’s a Mess; It’s in My Kiss”, “White Girl”, “The Hungry Wolf”, “True Love, Pt. #2” e “I Must Not Think Bad Thoughts”. Gli X diventrono ben presto i leader leggendari di una generazione, grazie soprattutto alla poetica del duo Cervenka/Doe che traevano una chiara ispirazione nell’anticonformismo e nella creatività spontanea del movimento Beat del secondo dopoguerra, esprimendola attraverso un punk rauco e basato sul rock ‘n’ roll.
Ma il vero elemento che ha distinto la scrittura di Doe e Cervenka, rispetto a quella dei loro contemporanei, oltre che uno dei motivi per cui gli X hanno avuto un fascino duraturo, è rappresentato dal mescolare il loro modello di punk rock, che era sempre melodico, con il country/folk e il rockabilly per trasmettere l’essenza della loro complessa identità culturale.
In “Smoke & Fiction” ritroviamo tutti gli elementi che hanno contraddistinto le varie fasi della carriera del quartetto, che ha costruito un album che non solo non sfigura nella loro discografia, ma che possiamo certamente raccontare come questo rappresenti uno sguardo sul passato scevro da ogni nostalgia. Le canzoni sono musicalmente simili a quelle dei lavori precedenti della band, mentre dal punto di vista lirico, le canzoni di Smoke & Fiction servono a ricordare agli ascoltatori che John ed Exene sono poeti: prima che i due si incontrassero a un workshop di poesia alla fine degli anni ’70, Exene non aveva mai cantato o pensato di fare musica. Nel corso della loro collaborazione (un matrimonio, un divorzio e decenni di amicizia e collaborazione musicale), John ed Exene hanno sempre affrontato il songwriting come dei parolieri, la loro scrittura esigente e vivida, venina sostenuta dal loro caratteristico alternarsi vocale pieno di carattere e fascino.
Proprio i testi, tuttavia, sono i punti in cui l’album si differenzia in maniera decisa dal precedente “Alphabetland”. Considerando che questo è stato concepito come l’ultimo album degli X, le canzoni di “Smoke & Fiction” sono quasi autobiografiche.
Pur non essendo mai stato un gruppo dichiaratamente politico, gli X non mancano di analizzare e contrastare il potere dell’informazione dei giorni nostri, molto spesso mistificata e stravolta per compiacere il potere. In uno dei brani cardine del disco, “Big Black X”, l’invito è perentorio: “Rimanete svegli e / Non fatevi prendere”. Una visione che a volte viene espressa sul lato personale come nel brano d’apertura “Ruby Church” mentre in un altro brano (“Flipside”) viene usata una visione più generalista. Queste due canzoni sembrano anche, per altri versi, una l’opposto dell’altra visto che nella prima si parla di una persona in “stato di grazia”, mentre nella seconda viene descritto il lato oscuro della propria mente.
“Smoke & Fiction” è anche un disco che rimanda ai tempi della giovinezza in cui John ed Exene amavano “mettersi nei guai” una voglia che viene riaffermata nella trascinante “Sweet Til The Better End”, mentre le difficoltà di una relazione vengono raccontate in “Struggle” con il classico intreccio vocale dai due che rimandano a tanti classici della band, mentre il tema musicale rimanda alla classica “Johnny Hit and Run Paulene”.
In “The Way It Is“, un bel brano mid-tempo, il chitarrista Billy Zoom aggiunge un twang country scuro, mentre la performance vocale di John canta con un incedere doloroso versi come questi: “Non siamo mai stati dei ragazzini, eravamo piuttosto giovani/facevamo quello che facevamo solo per andare avanti“; mentre il controcanto di Exene sublima un connubio artistico che continua ad essere un marchio di fabbrica perfettamente riconoscibile, che continua a farci innamorare di una band immortale come gli X.
“Flipside” ha un incedere rockabilly che forse meglio degli altri brani gode della produzione di Rob Schnapf, mentre “Big Black X” richiama subito alla mente il loro album “Under The Big Black Sun” (1982), ed è un’altra canzone di ricordo per la resa dei conti finale, è anche il primo singolo estratto dall’album che insieme al suo video, ricordano i primi anni della carriera della band (il loro moniker che si perde sui grandi cartelloni; il primo club punk di Los Angeles, il Masque; l’incrocio dove John ed Exene vivevano quando si sono conosciuti), ma questi riferimenti non sono utilizzati per indugiare sul sentimentalismo dei bei tempi che furono, quanto per affermare di avere fatto le scelte giuste per le loro vite, e di essere consapevoli che “Si concluda il Tempo”, come cantano nel brano omonimo. Proprio “Winding Up the Time” è forse la migliore performance degli X nell’album: È sfolgorante e feroce, frivola e artistica e dimostra quanto siano ancora incredibilmente bravi a distanza di tutti questi anni.
Un altro elemento che spicca nell’ascolto è quello di trovarsi ancora una volta davanti ad una formula sonora consolidata, ma sulla quale spicca un elemento di profonda diversità che è rappresentata dal modo di cantare di Exene Cervenka, che non ha più bisogno di usare l’angoscia giovanile che caratterizzava i primi dischi.
“Smoke & Fiction” è il disco della consapevolezza, oltre che della celebrazione di una carriera gloriosa. Il futuro è ormai alle porte, e il mondo è ancora un disastro. Gli X decretano come meglio non potrebbero la loro fine, ma la loro eredità verrà ancora raccolta in futuro, indipendentemente da ogni moda che si succederà, perché ci sarà sempre qualcuno che sentirà il bisogno di suonare del punk rock.
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