Sin dall’omonimo EP del 2011, l’allora diciassettenne King Krule (Archy Ivan Marshall) aveva lasciato presagire di essere destinato a ottime cose, considerata anche la sua giovane età; una voce profonda (a dispetto del suo aspetto più esile e “adolescenziale”) e una commistione di cantautorato intimo e (ri)flessivo, con venature indie, sporcato di elettronica e di jazz, apparivano funzionali e in prospettiva vincenti, come dimostravano “The Noose Of Jah City” e “Portrait In Black And Blue”.
Nel 2013 il primo LP “6 Feet Beneath The Moon” con cui King Krule perfezionava e ampliava la formula espressa nell’EP omonimo, talvolta inasprendola (“Has This Hit?”), ed inanellando una serie di ottimi trasversali brani come “Easy Easy”, “Baby Blue”, “A Lizard State”, “Ocean Bed”, “Neptune Estate”, “Out Getting Ribs” …
Nel 2015, messo da parte lo pseudonimo, la pubblicazione a nome Archy Marshall di “A New Place 2 Drown”, in cui l’elettronica saliva in superficie e assestava l’ascolto su più convenzionali (e meno riusciti) paesaggi sonori (“Swell”, “Ammi Ammi” – con Jamie Isaac -, …) distinguendosi comunque in “Thames Water” .
Nel 2017, recuperato il nome King Krule, con “The Ooz” si attuava l’esatta fusione tra “6 Feet Beneath The Moon” e “A New Place 2 Drown”, per quello che rimane ad oggi il miglior lavoro discografico di Marshall, crasi tra eleganza, rabbia, cupezza, delicatezza ed abrasioni, di cui “The Locomotive”, “Dum Surfer”, “Slush Puppy” (con Kaya Wilkins), “Lonely Blue”, “Cadet Limbo”, “Czech One”, “Vidual”, “Half Man Half Shark”, “The Ooz”, “Midnight 01 (Deep Sea Diver)”, “La Lune” … ne sono inoppugnabile prova.
Nel 2020 è la volta di “Man Alive!”, per una scrittura che, sebbene sempre di buona e particolare fattura (“Supermarché”, “Stoned Again”, “Comet Face”, “Slinky”, “Please Complete Thee” …), si faceva più introversa, spostando l’asse dall’equilibrio verso un piano obliquo; iniziavano anche a comparire tra i solchi cenni di ripetitività seppur di qualità (“Alone, Omen 3”, “(Don’t Let the Dragon) Draag On”, “Underclass” …). Se si volesse però seguire un tracciato più “alternativo” nella valutazione della discografia di King Krule, “Man Alive!” sicuramente si imporrebbe di diritto in tal senso.
Quanto di meglio proposto in “The Ozz” e in “Man Alive!” viene immortalato nel live “You Heat Me Up, You Cool Me Down” del 2021 (seconda registrazione dal vivo dopo “Live on the Moon” del 2018) in cui spiccano, dai citati LP, “The Ozz”, “Stoned Again”, “Half Man Half Shark”, “Alone, Omen 3” …; non mancano brani degli esordi come le belle “Rock Bottom” (già singolo nel 2012), “Easy Easy”, “Baby Blue” “Out Getting Ribs” … per un live che mostrava una volontà di rilettura, un’immediatezza e una propensione a una dimensione al contempo vicina ma distante a quella in studio (per tutte “The Ozz” e “Baby Blue”), elementi questi sicuramente di pregio, per un buon live che però non faceva emergere fino in fondo una preferenza o almeno un’alternativa paritetica alle registrazioni originarie per una musica quella di King Krule che per sua natura si presta più all’“ascolto” che all’“arena”; su queste pagine si è scritto di altri recenti dischi dal vivo che hanno invece “impressionato” (per tutti “Faces From The Masquerade” dei Car Seat Headrest).
Nel 2023 è la volta di “Space Heavy”, che se si fa apprezzare per brani come “Flimsier” (dal sapore indie), la dura “Pink Shell”, la meccanica “Hamburgerphobia”, apparendo, invece, meno convincente in momenti come “That Is My Life, That Is Yours”, “Tortoise Of Independency”, “Empty Stomach Space Cadet”, “Seagirl” – con Raveena -, “Our Vacuum” … brani meno ispirati e (oramai troppo) ripetitivi, limite anche della stessa “Space Heavy”.
Vulnus questo che viene meno nell’EP “SHHHHHHH!” (XL/Matador) del 2024, essendo la brevità la sua forza; in 11 minuti e 4 brani, King Krule concentra tutti i suoi umori e i suoi “disturbi”, tra post punk, industriale, wave e aperture jazz.
Se “Achtung!” si muove tra decadenza e paranoia (di pregio l’alieno assolo in chiusura), “Time For Slurp” apre spazio ad abrasioni a tratti psichedeliche (tornano alla mente le psicosi di John Dwyer).
Ed in questo contesto trovano retta collocazione anche i toni jazz della più pacata ballata “Whaleshark” e di “It’s All Soup Now”, tanto rilassata e intima quanto scossa da sferzate di rabbia “elettrica” e di elettronica “sperimentale”.
“SHHHHHHH!” termina al momento giusto, quando l’ombra di pecche passate stavano iniziando ad oscurarlo, evitando così di inciampare nei trascorsi tranelli di un’eccessiva scrittura troppo simile a se stessa.
Per completezza va infine detto che King Krule, negli anni, è apparso anche in lavori discografici altrui come quelli di Mount Kimbie.
https://www.instagram.com/edgar_the_breathtaker
https://kingkrule.bandcamp.com/album/shhhhhhh