Diamanda Galás ha dato alle stampe “In Concert” (Intravenal Sound), registrazione dal vivo per voce e pianoforte, una formula questa che, come vedremo in seguito, la Galás ha adottato ripetutamente, forte sia delle sue incredibili doti vocali che di una padronanza e personale interpretazione del pianoforte.
In occasione di detta pubblicazione, si è operato un breve approfondimento sulla sua musica dagli esordi sino ad oggi.
– Premessa
Quando si parla di Diamanda Galás, a parere dello scrivente, siamo alla presenza di una delle più belle voci di sempre (alla pari di Joan La Barbara – da citare “Voice Is the Original Instrument” del 1976, “Tapesongs” del 1978 e “Reclutant Gypsy” del 1980 e di Meredith Monk – da citare “Songs From The Hill/Tablet” del 1979 e “Dolmen Music” del 1980 – e, in un ambito più prossimo alla “forma canzone”, di Billie Holiday, Nina Simone, Joni Mitchell e Grace Slick), per espressività, estensione, ma soprattutto per ricerca e sperimentazione, dirompente sin dalla partecipazione, nel 1979, ad “If Looks Could Kill” di Jim French, lavoro a cui prese parte anche Henry Kaiser, in cui la Galás diede da subito sfoggio della sue incredibili capacità.
Conobbi la musica di Diamanda Galás quando da ragazzo ascoltai “The Sporting Life” (del 1994), quello che probabilmente è stato il suo disco più famoso essendo a firma anche di John Paul Jones; un disco “accessibile” e a suo modo “commerciale” se paragonato ai dischi degli esordi (di cui parleremo successivamente), in cui la voce si muoveva su una solida sezione ritmica, e che si distingueva per brani di estrema efficacia come l’ottima “Skótoseme”, l’urbana “Do You Take This Man?”, la bella “cover” di “Dark End Of the Street” e ancora per le interessanti “Tony” e “The Sporting Life”, riservandosi solo con “Last Man Down” e “Hex”, nel loro complesso, maggiori margini di sperimentazione.
– 1981/1984
Riavvolgendo il nastro e ripartendo dagli inizi, dopo la detta “preparatoria” partecipazione del 1979, tra il 1981 e il 1984, la Galás pubblica due capolavori quali “The Litanies of Satan” (del 1982) e l’omonimo “Diamanda Galas” (del 1984), entrambi composti da lunghi brani che andavano a coprire l’intera facciata del vinile, miscellanea di elettronica, manipolazione sonora, teatralità e canto portato al limite di ogni variazione e possibilità umana della voce (se Demetrios Stratos, tra il 1976 e il 1978, aveva, con “Metrodora” prima e con “Cantare La Voce” poi, fatto diventare la voce “studio” per sé e per gli altri, lei rende la voce parte narrante di un’ineluttabile tragedia greca); va detto che antecedenti, del 1981, sono le registrazioni sulla cassetta “Diamanda Galas” di “Eyes Without Blood: Wild Women With Steaknives”, in versione estesa di 16:55 minuti, e di “Tragouthia Apo To Aima Exoun Fonos – Song From The Blood Of Those Murdered”, che verrano poi riproposte nei citati LP del 1982 e del 1984.
Quello qui narrato dalla Galás è un inferno di dannazione umana; nelle note di copertina di “The Litanies of Satan” si legge, per il brano “The Litanies of Satan” “devotes itself to the emeraldine perversity of the life struggle in Hell”, mentre per il brano “Wild Women with Steak-Knives (The Homicidal Love Song for Solo Scream)” “is a cold examination of unrepentant monomania, the devoration instinct, for which the naive notion of filial mercy will only cock a vestigial grin” (nel brano “The Litanies of Satan” il testo è estratto da Les Fleurs du Mal di Charles Baudelaire).
“The Litanies of Satan” e “Diamanda Galas” sono teatro macabro, estremo e apocalittico e che in “Diamanda Galas”, affinato quanto espresso dal suo predecessore, raggiunge la perfezione formale e sostanziale sia in “Panoptikon” che in “Τραγούδια από το Αίμα Εχούv Φονός” (Song from the Blood of Those Murdered)”, registrata nell’ottobre del 1981; della composizione “The Litanies of Satan” esiste anche una versione video (VHS) dal vivo.
– 1984/1991
Il 1984 segna anche la prima “frattura” artistica della Galás colpita profondamente dal dramma legato all’AIDS che stava imperando in quegli anni; i tre successivi dischi, “The Divine Punishment” (del 1986), “Saint Of The Pit” (del 1986) e “You Must Be Certain Of The Devil” (del 1988) saranno influenzati “dall’HIV” nelle tematiche tanto da andare a costituire, come trilogia, la raccolta “Masque Of The Red Death” (del 1988) e suggellati, nel 1990, dall’esecuzione live “Plague Mass”.
I tre citati dischi mostrano, anche sotto il profilo compositivo, un progressivo allontanamento da quanto espresso sino ad allora.
Litanies of Satan (2020 Remaster) by Diamanda Galás
“The Divine Punishment” assume toni più solenni e composti, non più solo da rito pagano ma anche da messa da alto medioevo (è determinante il richiamo nei testi al vecchio testamento) e, sebbene strutturato sotto forma di “movimenti”, risulta idealmente diviso in due principali blocchi: “Deliver Me From Mine Enemies” e “Free Among the Dead”; impressionante il V movimento di “Deliver Me From Mine Enemies”, “Γιατί, Ό Θεός? (Why, O God?)” simile a una blasfema apostasia da straziato sabba che fa da contraltare all’estatico IV movimento “Εξελόυμε”.
In “Lamentations”, per il II movimento di “Free Among the Dead”, la Galás fa utilizzo della lingua italiana nella Terza Lamentazione biblica: “Sono l’uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Solo contro di me egli ha volto e rivolto la sua mano tutto il giorno. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Ha costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e di affanno. Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo… è scomparsa la mia gloria la speranza che mi veniva dal Signore”, italiano che torna nel terrificante III movimento di “Free Among the Dead”: “Sono L’Antichristo”.
“Saint Of The Pit” (incentrato su testi dei poeti decadenti Charles Baudelaire, Gérard de Nerval e Tristan Corbière) accentua l’aspetto liturgico e si sublima nella qui presente versione di “Εξελόυμε”, in “L’Héautontimorouménos”, ma soprattutto nei definitivi 12:17 minuti di “Cris D’Aveugle”; in “Artémis” la Galás siede al piano una “scura” veste da “chansonnier” (abito che negli anni a venire sarà sempre più sua veste cerimoniale).
Con “You Must Be Certain Of The Devil” inizia a farsi spazio una velata forma canzone e accenni melodici per un disco che si ispira al gospel (come evidenzia “You Must Be Certain of the Devil” e lo spiritual “Go Down Moses” celato dietro “Let My People Go”) e, a parere di chi scrive, si mostra più che riuscito, sebbene oramai distante dalle sperimentazioni di “The Litanies of Satan” e di “Diamanda Galas”; un disco che chiude nel migliore dei modi una prima parte di carriera di grandissimo livello con un’apertura verso una più ecumenica fruibilità. Testimonianza di ciò è l’eccezionale “Let My People Go” per pianoforte e voce che diverrà un suo classico.
Il 12 e il 13 ottobre del 1990, nella Cattedrale di St. John the Divine a New York City, Diamada Galás celebrerà la sua personale “Plague Mass” (sottotitolata “1984 – End Of The Epidemic”) che sarà immortalata su disco e pubblicata come live album nel 1991; una mirabolante incisione se si considera che ciò che si ascolta è eseguito da una voce umana dal vivo. Tra le composizioni proposte anche “Sono L’Antichristo”, “Cris D’Aveugle (Blind Man’s Cry)” e una sempre eccezionale “Let My People Go”, qui particolarmente intensa.
– 1992/2008
“The Singer” (del 1992) è sostanzialmente per solo voce e pianoforte, contenente versioni di classici blues e gospel; il disco è però lontano dall’equilibrio di “Let My People Go” e risulta poco convincente malgrado annoveri, oltre alla stessa “Let My People Go”, le celebri “Gloomy Sunday” e “I Put a Spell On You”.
Da questo momento in poi la Galás adotterà con frequenza la formula voce/pianoforte interpretando per lo più brani altrui con un risultato troppo ripetitivo e a tratti non vincente; per un paradosso proprio le sue incredibili doti vocali, chiuse in schemi più rigidi e “precostituiti”, finiscono col non colpire più, come un tempo, allo stomaco e gli eccessi, prima esatti nella loro iperbole, appaiono troppo fini a se stessi. Quando invece la voce è “moderata” nel “cantare” canzoni (in via esemplificativa “My World Is Empty Without You”, “The Dark End of the Street”, “Blue Spirit Blues” …), libera su un pianoforte “libero” (in via esemplificativa “I’m So Lonesome I Could Cry”, “See That My Grave Is Kept Clean” …) o legata a brani dalle peculiari ambientazioni e tematiche (in via esemplificativa “Abel et Caïn”, “Si La Muerte”, “Keigome Keigome” …), il risultato è pregevole.
Quelli che vanno dal 1993 al 2008 sono tre lustri caratterizzati da dischi live (fatta eccezione per il già citato “The Sporting Life” del 1994 con John Paul Jones) in cui la Galás alternerà sperimentazione, come nel bel “Vena Cava” (del 1993) e in “Schrei X” (del 1996 e che comprende “Schrei 27”, lavoro radiofonico per sola voce del 1994; “PERFORMED IN TOTAL DARKNESS PLAY AT MAXIMUM VOLUME ONLY THIS IS NOT AMBIENT MUSIC” si legge nelle note di copertina), ad esecuzioni di “cover” per pianoforte e voce (con i limiti suddetti) come in “Malediction and Prayer” del 1998 (contenente registrazioni del tour del 1996/1997, in cui spiccano comunque le personali versioni di “Iron Lady”, di “My World Is Empty Without You”, di “Si La Muerte”, di “Keigome Keigome”, di “I’m Gonna Live the Life”, di “Gloomy Sunday” … e in cui c’è spazio anche per “Supplica a Mia Madre” di Pier Paolo Pasolini) e “La Serpenta Canta” del 2003 (contenente registrazioni del 1999, del 2001 e del 2002, in cui spiccano comunque le personali versioni di “Ain’t No Grave Can Hold My Body Down”, di “I’m So Lonesome I Could Cry”, di “Blue Spirit Blues”, di “The Dark End of the Street”, “See That My Grave Is Kept Clean” oltre a “Baby’s Insane” scritta da lei); da segnalere del 1993 la VHS “Judgement Day” che immortala registrazioni del 1992.
Il 2003 è anche l’anno di un parziale ritorno “al passato” con “Defixiones: Will and Testament”, doppio LP idealmente diviso in due parti; una prima che assume toni “operistici” e drammatici (nella denuncia ai genocidi) in cui la voce si innalza ora su bordoni, ora sul pianoforte (come nella suite “The Dance” in cui torna l’omaggio a Pasolini nella V parte “Holokaftoma”), ora su più “tribali” e industriali soluzioni (“Orders from the Dead”) e una seconda meno concettuale e monolitica che si avvicina ai già citati lavori per pianoforte e voce, anch’essa comprendente esecuzioni dal vivo (con registrazioni del 2001 e del 2002), in cui trovano tanto spazio momenti più sperimentali come “Je Rame (I Am Rowing)” quanto momenti più “cantautorali” come “Άνοιξε”, “Artémis” … e in chiusura “See That My Grave Is Kept Clean”.
Nel 2008 ancora un live (di “cover”) per voce e pianoforte “Guilty Guilty Guilty” (contenente registrazione del 2005 e del 2006), nel quale emergono “8 Men and 4 Women”, “O Death”, “Heaven Have Mercy” e soprattutto “Interlude (Time)” che mostra una Galás “inedita” per grazia, oltre alla “particolare” versione dello standard “Autumn Leaves”.
– 2008/2024
Nel 2017 è la volta di “All The Way” e dell’esecuzione dal vivo “At Saint Thomas the Apostle Harlem” (registrato nel 2016), entrambi sempre interpretazioni di brani altrui per voce e pianoforte. In “All The Way” da menzionare il bel brano eponimo, oltre ai due classici (del jazz) “You Don’t Know What Love Is” (si continua però a preferire l’inarrivabile esecuzione di Billie Holiday) e la strumentale “’Round Midnight” (tra le cui note la Galás mostra anche una notevole versatilità tecnica al pianoforte). In “At Saint Thomas the Apostle Harlem” la Galás, poi, conferma l’attenzione verso l’Italia con “Verrà La Morte e Avrà i Tuoi Occhi”, su testo di Cesare Pavese, in versione “lirica” (“lirica” che in “Angels” spingerà oltre) ed ancora di pregio “Die Stunde Kommt” (uscita anche come singolo registrato nel 2017 dal vivo “at the Murmrr Theater Brooklyn”) e “Artemis”. Va detto che in questi due lavori discografici, la Galás abbia messo maggior “ordine” tornado a separare, nel bilanciamento tra pianoforte e voce, le parti più “sperimentali” (“O Death” diventa in tal senso un punto fermo nel repertorio) da quelle “ordinarie” migliorando il risultato finale.
Nel 2020 il trascurabile “esercizio” per solo pianoforte “De-formation: Piano Variations” (molto più apprezzabili le parti di pianoforte di “accompagnamento” alla voce) per giungere, nel 2022, all’ottimo “Broken Gargoyles” (usare aggettivi “positivi”, quanto si deve elogiare un disco della Galás suona sempre strano viste le tematiche trattate e le ambientazioni non “solari”).
Diviso in due parti, “Mutilatus” e “Abiectio”, “Broken Gargoyles” rievoca i fasti del passato per dannazione e (de)composizione come non avveniva da decenni: ‘Composed in 2020 during the beginning of the Covid-19 pandemic, the final incarnation of the work was played as a sound installation at the Kapellen Leprosarium (Leper’s Sanctuary) in Hanover, Germany. This sanctuary was built around 1250 and served as a quarantine for those who suffered from the plague and leprosy in the Middle Ages. This first presentation of Broken Gargoyles featured verses by German poet Georg Heym, “Das Fieberspital” and “Die Dämonen der Stadt.” The work was finalized in 2020 in collaboration with the artist and sound designer Daniel Neumann. In “Das Fieberspital” Heym describes the horrific state of people suffering from yellow fever who live in paralyzing fear of death and swirling delirium owing to their brutal treatment and isolation in medical wards in early 20th-century Germany‘ (si legge sul sito https://diamandagalas.myshopify.com/collections/frontpage/products/broken-gargoyles consultato il 4 luglio 2024).
E “Broken Gargoyles” può considerarsi, allo stato, come l’ultima opera della Galás poiché “In Concert”, sebbene pubblicato nel 2024, presenta registrazioni tratte dalle esibizioni alla Thalia Hall di Chicago e al Neptune Theatre di Seattle del 2017; siamo, quindi, temporalmente coevi a “All The Way” del 2017 e ad “At Saint Thomas the Apostle Harlem” (contenente registrazioni live del 2016) e a quanto di buono proposto in tali dischi, come attestato da subito dai due esatti singoli che hanno anticipato l’uscita di “In Concert”: l’eccelsa “La Llorona”, brano che merita il pieno plauso nella commistione tra testo, voce e pianoforte, nell’arrangiamento operato, e che in conclusione riserva una breve significativa dichiarazione al pubblico e la bella “A Soul That’s Been Abused” (di Ronnie Earl) in cui compaiono virtuosismi vocali.
Che la Galás abbia trovato sia un punto di equilibrio tra “formato canzone” e la sua voce, sia una saggia e meno spinta estremizzazione delle proprie doti canore, lo confermano la bella versione country/blues di “Pardon Me, I’ve Got Someone To Kill” (di Johnny Paycheck e Aubrey Mayhew) e i vocalizzi nella pregevole “She” (di Bobby Bradford).
Sempre gradita è poi la presenza di “Let My People Go”, divenuto oramai un classico nel repertorio della Galás.
Se “aulica” è “O Prosfigas” (di Petridis e Bizani), “Anoixe Petra” (di Lefteris Papadopoulos e Mimis Plessas) è intensa e chiude un disco e un live di tutto rispetto che conferma quanto la voce della Galás sia Voce.
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