Quando a distanza di decenni, gruppi che hanno fatto la storia continuano a pubblicare dischi, si vanno spesso a sommare due fattori di segno opposto; da una parte vi è una indubbia e inevitabile esperienza e una quantità e qualità di mezzi a disposizione, mentre dall’altra, si contrappone, una non sempre capacità di innovazione nella scrittura. Si è, quindi, in presenza di un’operazione tanto “relativa” quanto “discorde” che, il più delle volte, produce un risultato che da “medio” si tramuta in mediocre.
Così è per l’ultimo lavoro discografico dei A Certain Ratio “It All Comes Down To This” (Mute – [Pias]).
“Rei” di aver appartenuto a quel gruppo di musicisti che tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta hanno caratterizzato uno dei più interessanti periodi per la musica britannica, con la personale fusione tra punk, jazz, musica “afro”, funky … gli A Certain Ratio hanno lasciato una traccia indelebile cristallizzata nello splendido “To Each…” del 1981.
Legati a doppio filo con la storica etichetta di Manchester, la Factory Records, e con il produttore Martin Hannett, con “To Each …” gli A Certain Ratio mettevano definitivamente a fuoco quanto anticipato dal preparatorio “The Graveyard and The Ballroom” del 1980 (contenente, come suggerisce il titolo, registrazioni fatte rispettivamente ai Graveyard Studios nel settembre del 1979 e dal vivo all’Electric Ballroom nell’ottobre del 1979) ma soprattutto da brani come la psicotica ed eccelsa “The Fox” (che già presente nelle take di “The Ballroom” non a caso verrà riproposta proprio in “To Each …” insieme a “Choir”, presente sia nelle registrazioni di “The Graveyard” che in quelle di “The Ballon”, e a “Oceans” da “The Ballroom”).
Con “To Each …”, gli A Certain Ratio si allontanarono (in parte) da un suono e uno stile proprio dei, a loro “prossimi”, Joy Division, Gang Of Four, Bauhaus, The Fall, This Heat, The Psychedelic Furs … per esplorare contaminazioni più inclini al punk-jazz al pari dei The Pop Group (che con “Y” regaleranno alla musica un disco sia di pregio assoluto che massima espressione del genere – ma qui si parla del gruppo di Mark Stewart capace da solo di pubblicare il capolavoro intitolato “Learning To Cope With Cowardice”, ed è quindi un’impari lotta), dei Glaxo Babies, dei Rip Rig + Panic … declinandole in modo (dis)simile a quanto era già stato fatto oltreoceano dai Contortions di James Chance; al contempo, però, non rinnegarono l’humus in cui si erano coltivati (Joy Division su tutti, data anche la presenza di Martin Hannett come produttore anche degli stessi Joy Division), vestendosi con un abito più mentale e razionale che istintivo e viscerale.
E così, “To Each …” entrava nella storia con brani tutti dall’incredibile impatto che, oltre ai già citati, annoveravano “Felch” (con il suo crescendo cosmico rotto da una ritmica meccanica e da un perfetto riff di tromba), la dionosiaca “My Spirit”, la psichedelica “Forced Laugh”, la totalizzanate “Back To The Start”, la notturna “Loss” e “Winter Hill”, con i suoi asfissianti 12:47 di flusso di coscienza … tutte gemme sospese tra sperimentazione, aperture e lacerazioni di trombe, basso ritmico e tranciante, battiti percussivi …
Purtroppo ripetersi in positivo è ardua impresa e ciò che avvenne negli anni successivi, sin dal poco riuscito “Sextet” del 1982 (sebbene annoverasse “Lucinda”, “Knife Stits Water” …), per gli A Certain Ratio non è stato destinato a restare impresso nella memoria, con una discografica che è servita più a far numero (tra cui il recupero operato dalla Mute come l’“ACR Box” del 2019, i remix – si pensi a “Loco Remezclada” del 2021 – e le collaborazioni varie) che contenuto e con operazioni molto discutibili quando hanno virato ora verso un’elettronica danzereccia, ora verso un synth pop stagionato, ora verso più pretenziose miscellanee vicine alla fusion; il tutto come aveva già fatto presagire (e anticipato) lo stucchevole “I’d Like To See You Again” sempre del 1982, certificando che “To Each …” era stato un isolato miracolo.
Tornando al presente, per una strana coincidenza narrativa, proprio “1982” del 2023 era stata l’ultima pubblicazione degli A Certain Ratio che, forte dei singoli “Samo”, “Constant Curve” e del brano eponimo (in perfetto coordinato uditivo con il visivo della copertina), aveva confermato quanto detto in apertura di articolo, ovvero che quando si hanno a disposizione esperienza e mezzi, e quando il punto di partenza è comunque un gusto musicale di per sé “positivo”, il risultato finale si può assestare anche su valori “medi” … valori medi che con “It All Comes Down To This” purtroppo diventano “mediocri”.
Apre il disco “All Comes Down To This”, dal piglio da scanzonato pop alternativo in cui irrompono rumori giocattolo.
Con “Keep It Real” torna un approccio più austero nella strofa e accattivante nel ritornello, per il primo brano significativo seppur scontato.
“We All Need” fa un passo avanti rispetto a quanto proposto da “Keep It Real”, unendo funky e noise a uno spoken che quanto si fa melodia si lascia cantare in uno ai riff/temi strumentali.
“Surker Ticket”, se inizialmente lascerebbe presagire un possibile interessante sviluppo, con l’ingresso della voce prima e dell’arpeggio di chitarra nel finale si candida a passaggi radiofonici mainstream.
“Bitten By A Lizard” è synth pop retrò per uno dei peggiori momenti di “All Comes Down To This”, in cui la sperimentazione strumentale centrale non fa altro che togliere qualità piuttosto che aggiungere.
Con “God Knows” il risultato non muta e si ripete in negativo per un altro nostalgico omaggio ad un vacuo synth pop d’annata …
“Out From Under” ripropone ritmiche funky e un cantato che richiama i gruppi funk anni settanta seppur in modo asettico e freddo, risollevando comunque (parzialmente) l’indice di gradimento.
“Estate King”, con il suo spoken, è sbiadita copia di ciò che fu parte della produzione di quel genio di George Clinton.
Il gusto pop, nella sua accezione negativa, si esalta in “Where You Coming From” per trovare in “Dorothy Says” invece, tra le righe, più interessanti soluzioni.
Terminato l’ascolto, sebbene si comprenda l’esigenza di essere presenti sul mercato e di andare incontro anche ai gusti di un più vasto pubblico, non si coglie fino in fondo come gli A Certain Ratio siano potuti andare alla deriva rispetto agli esordi, tanto più che esempi virtuosi, di rotta opposta alla loro, esistono, come da ultimo recensito anche su queste pagine; si pensi, in via esemplificativa, agli Einstürzende Neubauten di “Rampen: apm (alien pop music)” e agli Orchestral Manoeuvres In The Dark di “Bauhaus Staircase”.
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