Nato il 21 dicembre del 1940, il 4 dicembre del 1993, moriva Frank Zappa: uno dei più grandi Musicisti della seconda metà del 1900; sicuramente, con Miles Davis e con i King Crimson di Robert Fripp (come già osservato su queste pagine), un rarissimo esempio di capacità innovativa e intuitiva, non solo nel precorrere i tempi, ma soprattutto nell’operare un rinnovamento artistico che gli ha permesso di restituire musica sempre di grande pregio.
Se si esclude l’operazione effettuata dagli eredi dopo la sua morte, che ha portato alla pubblicazione di un infinito materiale discografico (non privo di dischi di interesse, soprattutto live, tra cui la serie “Halloween”, “Carnegie Hall” – del 1971 -, “Wazoo” – del 1972 -, “Philly ‘76”, in cui spicca una “Black Napkins” d’eccezione, “Chicago ’78” …), “Civilization Phaze III” (del 1994) è l’ultimo album “completato” da Zappa prima della sua morte e poi uscito postumo. Si è deciso di partire “dalla fine”, per un preciso motivo che pone, anche, un interrogativo che purtroppo rimarrà inevaso.
“Civilization Phaze III” è “an opera-pantomime” per synclavier (strumento utilizzato da Zappa già in lavori precedenti, come successivamente meglio diremo), registrazioni di voci “of the piano-dwellers” raccolte nel 1967 e nel 1991, oltre a registrazioni per “orchestra”. Nelle note di copertina si legge: ‘In “CIVILIZATION, PHAZE III” we get a few more clues about the lives of the piano-dwellers and note that the external evils have only gotten worse since we first met them. The bulk of the musical material comes from Synclavier sequences (all music in act one). In the second act, the music is a combination of Synclavier (70%) and live performance (30%), along with a new generation of piano people … is an opera-pantomime, with choreographed physical activity (manifested as dance or other forms of inexplicable sociophysical communication. Plot continuity is derived from a serial rotation of randomly chosen words, phrases and concepts, including (but not limited to) motors, pigs, ponies, dark water, nationalism, smoke, music, beer, and various forms of personal isolation’.
Zappa, non so dire se in modo consapevole o meno, con la sua ultima registrazione, unisce quindi le voci degli “esordi” con una visione artistico-musicale proiettata nel futuro sviluppando, in chiave “classica/avanguardia”, quanto di ottimo aveva codificato, dieci anni prima, in chiave “fusion” (sebbene in fondo non si tratti propriamente né di fusion, né di jazz), con lo splendido “Jazz From Hell” del 1984 (anche esso per synclavier); “Civilization Phaze III” chiude inoltre, idealmente, il discorso musicale aperto con la pubblicazione, nel 1968, del suo primo disco “solista” “Lumpy Gravy”.
Se possiamo considerare “Civilization Phaze III” l’ultimo “atto” di Frank Zappa, la sua perdita, a 53 anni non ancora compiuti (per pochi giorni), pone la domanda su cosa avrebbe potuto comporre e suonare Zappa in questo trentennio di “vuoto” artistico che ha lasciato; ciò anche alla luce delle nuove tecnologie sviluppatesi e dei nuovi “generi” musicali nati.
È noto l’amore di Zappa per Edgard Varèse (e per i grandi compositori del primo novecento quali Anton Webern, Igor Stravinskij …; celebre la sua “In-A-Gadda-Stravinsky”, contenuta su “Guitar”, in cui, partendo dal giro di “In-a-Gadda-Da-Vida” degli Iron Butterfly, omaggia Igor Stravinskij richiamando “L’adorazione della terra” da “La sagra della primavera”); un amore per Varèse che trova compimento nell’ascolto di “Ionisation”.
Zappa stesso, nell’articolo per Stereo Review (giugno 1971) dal titolo “Edgard Varèse – The idol of my youth”, scrive: “I was about thirteen when I read an article in “Look” about Sam Goody’s Record Store in New York. My memory is not too clear on the details, but I recall it was praising the store’s exceptional record merchandising ability. One example of brilliant salesmanship described how, through some mysterious trickery, the store actually managed to sell an album called “Ionisation” (the real name of the album was “The Complete Works of Edgard Varèse, Volume 1”). The article described the record as a weird jumble of drums and other unpleasant sounds … had a genuine lo-fi… it was a little box about four inches deep with imitation wrought-iron legs at each corner (sort of brass-plated) which elevated it from the table top because the speaker was in the bottom. My mother kept it near the ironing board. She used to listen to a 78 of “The little shoemaker” on it. I took off the 78 of “The little shoemaker” and, carefully moving the speed lever to 33 1/3 (it had never been there before), turned the volume all the way up and placed the all-purpose Osmium-tip needle in the lead-in spiral to “Ionisation”. I have a nice Catholic mother who likes Roller Derby. Edgard Varèse does not get her off, even to this very day. I was forbidden to play that record in the living room ever again.” (dal sito: https://www.translatedzappa.com).
Questa inclinazione (per non dire passione) verso la musica classica di inizio novecento, non solo accompagnerà Zappa lungo tutta la sua carriera (si pensi al già citato “Lumpy Gravy,” del 1968, al buon “Orchestral Favourites” contenente registrazioni del 1975, pubblicate poi nel 1979, ai due progetti “London Symphony Orchestra, Vol. I” del 1983 e “London Symphony Orchestra, Vol. II” del 1987, a “Francesco Zappa” del 1984 e a “Boulez Conducts Zappa: The Perfect Stranger” del 1984 che vedrà addirittura Pierre Boulez a dirigere l’Ensemble InterContemporain, per tre brani del disco, su musica di Zappa), ma troverà esatto compimento nella sua ultima fase di vita (come testimonia, oltre al già citato “Civilization Phaze III”, anche il bel “The Yellow Shark” del 1993).
La storia, però, almeno ai più, ha consegnato un Frank Zappa quale “macchina” capace di metabolizzare ogni tipologia di musica, sezionarla e rielaborala in un “formato” unico dall’impressionante impronta personale; e la sua innata propensione alla rottura degli schemi si sublimerà nell’abbattimento dei generi musicali di cui è stato il più grande interprete.
Nel libro di Barry Miles “Frank Zappa” edito per la Feltrinelli, a pagina 35, è riportato un aneddoto interessante, funzionale a quanto appena detto: ‘Nella primavera del 1955 il disco preferito di Frank era Angel in My Life dei Jewels. Per cercare di capire come mai gli piacesse così tanto, lo portò al signor Kavelman, il maestro di musica della banda della scuola, e gli chiese di spiegargli il motivo di tanto interesse. “Quarte parallele”, fu la risposta’.
Analizzare singolarmente ogni pubblicazione di Zappa, data la vastità (a cui le pubblicazioni postume hanno fortemente contribuito), sarebbe operazione enciclopedica; si cercherà, quindi, di percorrerne le tappe essenziali.
L’estro di Zappa si manifesta da subito, pronto a cogliere l’occasione; nell’“Enciclopedia Rock anni ’60” edita dall’Arcana Editrice e a cura di Riccardo Bertoncelli, a pagina 555 si legge: “Fin dagli esordi il lavoro dell’artista procede su binari paralleli; musica sperimentale … omissis …. e canzoni fatue e romantiche …. omissis … Alla prima categoria appartengono Opus 5, tediosa composizione per nastro magnetico, pianoforte e proiettore, e un curioso Concerto per bicicletta e pompa presentato allo “Steve Allen Show””; sia “Opus 5” che il Concerto per bicicletta e pompa risalirebbero al 1963.
Dopo esperienze in gruppi minori (sempre nella su citata “Enciclopedia Rock anni ’60” a pagina 155 e 156 si annoverano: Boogie Man, Joe Perrino & The Mellowtones, Soots, Muthers, con la specificazione “sono le sigle che i biografi più accreditati ci hanno lasciato. Solo nel 1963 però le cose prendono una piega seria con i Soul Giants … omissis …. I Giants diventeranno Magic Mufflers e finalmente Mothers, nel 1964”), costituita una delle più eccentriche e dotate formazioni, i The Mothers of Invention (oltre a Zappa, Jimmy Carl Black – percussioni, batteria, voce, Ray Collins – voce solista, armonica, cimbali a mano, tamburello, forcina, pinzette, Roy Estrada – basso, guitarrón, voce soprana, Elliot Ingber – chitarra solista e ritmica e innumerevoli ospiti tra cui la bassista Carol Kaye – per il futuro si ometterà di annoverare sempre tutti i musicisti che suoneranno con Zappa), nel 1966 vede la luce “Freak Out!”, uno dei più folgoranti debutti della storia della musica (secondo LP doppio della storia dopo “Blonde on Blonde” di Bob Dylan), in cui spiccano “Hungry Freaks, Daddy”, “How Could I Be Such A Fool?”, “Trouble Every Day” e le “geniali” “Help, I’m A Rock (Suite In Three Movements)” e “The Return of the Son of Monster Magnet”; un lavoro ricco di musica di rottura e testi dissacrati e impegnati.
“Freak Out!” è però solo l’atto preparatorio per l’epocale “Absolutely Free”, a parere di chi scrive uno dei più bei dischi di tutti i tempi.
Mentre la Beatlemania impazzava ed esaltava “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, i The Mothers of Invention, nel 1967, consegnavano alla storia un capolavoro … visionario, di denuncia sociale, umana, causticamente ironico, miscellanea di generi e sottogeneri, evocando un teatro dell’assurdo radicato nei mali socio-culturali dell’epoca.
Se “Freak Out!” aveva decomposto la forma canzone codificando un nuovo canone musicale, “Absolutely Free” ne perfeziona e ne affina la scrittura. Ampliata la formazione base con l’ingresso di Bunk Gardner – flauto, Billy Mundi – batteria, percussioni, Don Preston – tastiere e Jim Fielder – chitarra, pianoforte (Elliot Ingber non sarà presente), l’eclettismo artistico si amplifica e il risultato finale è un disco tanto perfetto quanto inarrivabile di cui “The Duke of Prune” ne è sintesi esatta; nei suoi 2:12 racchiude, con un incantevole equilibrio, un universo musicale; se poi la si considera con “Amnesia Vivace” e “The Duke Regains His Chops” un tutt’uno se ne perdono i confini. Altra opera nell’opera è l’eccezionale “Brown Shoes Don’t Make It” quintessenza non catalogabile dell’arte collage di Zappa. Ma a ben sentire tutto “Absolutely Free” è oltre le “note”: in “Plastic People” sono presenti digressioni da musica d’avanguardia, “Invocation and Ritual Dance of the Young Pumpkin” è elogio all’improvvisazione, è happening strumentale … Le parti parlate (voci/cori) che saranno un’altra caratteristica di Zappa, diventano ora colloquiali, ora teatrali, per una narrazione da drammaturgia contemporanea.
Prima si è fatto accenno a “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, alla Beatlemania e all’eco che il disco stava avendo soprattutto nel mondo hippie; Frank Zappa non si lasciò sfuggire l’occasione per “omaggiare”, a suo modo, sia i The Beatles che i “figli dei fiori”, pubblicando, nel 1968, “We’re Only in It for the Money”, lavoro discografico che idealmente chiude il trittico delle meraviglie (“Freak Out!” “Absolutely Free” “We’re Only in It for the Money”); prendendo in prestito il titolo di un disco dei King Crimson, lo si può definire: “Three of a Perfect Pair”.
Prima di passare ai “contenuti” di “We’re Only in It for the Money”, è opportuno partire dalla storia della copertina: “Il design originale di copertina ideato da Cal Schenkel era un’evidente parodia della copertina del celebre Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, che venivano “presi in giro” con l’accusa di “far parte della controcultura (flower power) solo per i soldi” (We’re Only in It For The Money è infatti il titolo dell’album). Schenkel ricreò il collage della copertina dei Beatles con dovizia di particolari, stravolgendone però il significato in chiave satirica, e Zappa spese 4,000 dollari (circa 28,000 dollari attuali) per la foto, che voleva fosse “una copia in negativo della copertina di Sgt. Pepper”. Egli disse: «[Sgt. Pepper] ha un cielo azzurro ; … noi abbiamo una tempesta.» Jimi Hendrix, amico di Zappa, partecipò alla sessione fotografica, prendendo posizione nello stesso punto dove, nella copertina dei Beatles, c’è una statua di cera di Sonny Liston. Zappa telefonò a Paul McCartney chiedendogli il permesso di parodiare la copertina di Sgt. Pepper’s e Paul gli disse che per lui la cosa andava anche bene ma che però avrebbe prima dovuto rivolgersi all’ufficio gestioni manageriali dei Beatles presso la EMI. La sensazione di Zappa, raccontata anni dopo, fu che McCartney non essendo entusiasta dell’idea, avesse cercato di osteggiare il progetto ritardando così l’uscita dell’album di qualche mese. La casa discografica di Zappa ebbe comunque paura di problemi legali relativi al copyright della cover del Sgt. Pepper e pretese che la foto venisse inserita all’interno del disco, mentre come copertina vera e propria fosse utilizzata una foto dei membri della band su sfondo giallo (immagine comunque simile a quella contenuta all’interno proprio del disco dei Beatles)” (si legge su Wikipedia a proposito di “We’re Only in It for the Money” dove sono riportati in nota anche i riferimenti come fonti).
Fatta questa necessaria premessa, i The Mothers Of Invention si ampliano ancora con l’ingresso, tra l’altro, di Ian Underwood (pianoforte, tastiere, voce, flauto), e sotto il profilo musicale e testuale, Zappa compie un’ulteriore passo in avanti, razionalizzando gli spazi creativi con una frammentazione di minutaggio impressionate (un’operazione simile la replicheranno i Soft Machine nel 1969 con il loro secondo disco). Le parti sperimentali si affinano ulteriormente (ne è prova già il brano di apertura “Are You Hung Up?”) e tutto il disco assume una precipua compattezza in cui ogni singolo brano è funzionale sia a se stesso che per il tutto. L’umorismo di Zappa è ancora una volta caustica denuncia di una società che se non aveva trovato giustificazione nel costume statunitense tradizionale, non trova salvifica via nemmeno nei movimenti contro culturali dell’epoca. Menzione particolareggiata (come sempre) per i testi che subiranno anche “censura”.
“We’re Only in It for the Money” inanella una serie di “canzoni” o di “bozzetti” di “canzoni” tutte memorabili “Who Needs the Peace Corps?”, “Concentration Moon”, “Mom and Dad”, “What’s the Ugliest Part of Your Body?”, “Absolutely Free”, “Let’s Make the Water Turn Black”, “The Idiot Bastard Son” … per culminare nella cacofonica “The Chrome Plated Megaphone Of Destiny” … esperimento per “risata”; Zappa, con la sua “risposta” a “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, mette un punto fermo alla storia della musica e ne definisce le “priorità”.
Probabilmente “We’re Only in It for the Money”, nel complesso, può apparire anche superiore ad “Absolutely Free”; a rendere un passo avanti “Absolutely Free” resta, però, la “contestualizzazione”della sua pubblicazione.
Nello stesso anno Zappa, senza i The Mothers of Invention, pubblicherà “Lumpy Gravy” in cui abbandona la forma “rock” per tessiture più “classiche”. Nel disco Zappa è accompagnato dalla The Abnuceals Emuukha Electric Orchestra & Chorus; lo stesso Zappa, per Melody Marker del 4 gennaio 1974, dichiarerà: “Era la prima occasione che mi capitava di ottenere una registrazione professionale del mio lavoro con un orchestra, e ce la facemmo” (fonte “Frank Zappa for President!” di Michele Pizzi, pagina 113 – Arcana Edizioni).
Nelle note di copertina è, inoltre, specificato, “Is this Phase 2 of We’re Only In It For The Money?”. Nella seconda suite del disco, “Lumpy Gravy”, Part Two”, fa anche comparsa l’eccelsa “King Kong” (su cui si tornerà successivamente); come poi già accennato “Lumpy Gravy” apre il cerchio che idealmente si chiuderà, alla morte di Zappa, con “Civilization Phaze III”.
“We We’re Only in It for the Money” non rappresenta però il canto del cigno dei The Mothers of Invention i quali, dopo “Cruising with Ruben & the Jets”, danno alle stampe il loro disco più complesso, summa di quando maturato ed elaborato sino a quel momento sia a firma The Mothers Of Invention che dal solo Zappa con “Lumpy Gravy”: “Uncle Meat” del 1969, colonna sonora di un film che non sarà mai realizzato (nel 1971, Zappa con Tony Palmer realizzerà il film “200 Motels” mentre nel 1983 il bel “Baby Snakes”).
Sebbene non abbia la caratteristica di “rottura storica” dei suoi predecessori, “Uncle Meat” è al contempo un unicum e un ponte ideale tra la prima produzione di Zappa e quella che sarà poi negli anni successivi. Se da una parte, infatti, continuano a essere presenti “canzoni” quali “Sleeping In a Jar” (di estrema bellezza), “Electric Aunt Jemima”, “The Air”, o “Cruising for Burgers”, dall’altra prendono corpo composizioni che uniscono, con esatto equilibrio, un gusto per la ricerca di un tema/melodia e la sperimentazione oscillante tra classica, avanguardia e free jazz; testimonianza di ciò sono “Uncle Meat: Main Title Theme”, “The Uncle Meat Variations”, “Nine Types of Industrial Pollution”, “Ian Underwood Whips It Out (Live on stage in Copenhagen)”, “Project X” … Menzione a parte meritano i capolavori: “Dog Breath, in the Year of the Plague”, “Mr. Green Genes” e la suite “King Kong” (il cui tema risale a “Lumpy Gravy”), tutti tra i vertici massimi raggiunti dal Zappa compositore (una bella “King Kong” verrà incisa nel 1970 da Jean-Luc Ponty nel disco “Jean-Luc Ponty”; un disco in cui parteciperà lo stesso Zappa e Ian Underwood). La versione di “Uncle Meat”, pubblicata nel 1995, sarà arricchita da tracce aggiuntive, tra cui la famosa “Tengo Na Minchia Tanta”, cantata in italiano da Massimo Bassoli. Se si decontestualizza la produzione musicale di Zappa da un raffronto storico, “Uncle Meat” è sicuramente il punto più alto raggiunto della sua discografia.
Come detto, non verranno esaminati singolarmente tutti i dischi di Zappa (da solo o con i The Mothers Of Invention), né verranno citati tutti; sono però da ricordare ancora, a nome The Mothers Of Invention (in diverse formazioni), i live “Fillmore East – June 1971”, “Just Another Band from L.A.” (registrato live il 7 agosto del 1971) e “Roxy & Elsewhere” (contenente registrazioni del 1973 e del 1974), oltre ai dischi in studio (o in parte) tra cui da citare, quantomeno: “Burnt Weeny Sandwich” del 1970 (splendido disco tra cui spiccano i 18:46 minuti di “The Little House I Used To Live In” – in chiave “Hot Rats” – e le “Holiday in Berlin”), “Weasels Ripped My Flesh” del 1970 (altro splendido lavoro in cui figurano “My Guitar Wants to Kill Your Mama”, eseguita anche da Joe Satriani, Steve Vai e Eric Johnson nel corso del G3 tour, “Oh No”, “Eric Dolphy’s Memorial Barbecue”), “Over-Nite Sensation” del 1973 (con “I’m the Slime” e “Montana”) e “One Size Fits All” del 1975 (in cui si impongono “Inca Roads” e “Sofa”).
Si è detto che “Uncle Meat” sia stato un unicum (e di fatti lo è stato) ma, al contempo, che sia stato anche un “ponte” tra la prima produzione di Zappa degli anni sessanta e quella che sarà a venire.
A ben vedere, l’anno 1969 rappresenta per Zappa un crocicchio cardine della sua attività artistica; seguendo la “tradizione”, è come se avesse incontrato il Diavolo e avesse firmato un patto con lui (torna in mente la mefistofelica “Titties & Beer” – di ispirazione “Histoire Du Soldat” – soprattutto nella versione live di “Zappa in New York” – su cui torneremo successivamente – con Terry Bozzio nelle veci di Satana).
Nel 1969 oltre alla pubblicazione di “Uncle Meat”, Zappa produrrà quella che si può definire come la più “assurda opera rock” di sempre, “Trout Mask Replica” di Captain Beefheart & His Magic Band (un disco che meriterebbe un approfondimento particolareggiato), e darà alle stampe uno dei suoi dischi più celebri “Hot Rats”; stando ai dati riportati dal sito ufficiale di Zappa (https://www.zappa.com) e da Wikipedia: “Uncle Meat” – pubblicato il 21 aprile 1969; “Trout Mask Replica” – pubblicato il 16 giugno 1969; “Hot Rats” – pubblicato il 10 ottobre 1969.
Zappa, in soli sei mesi del 1969, restituirà molto di più quanto suoi celebri colleghi non saranno in grado di realizzare in un intera carriera musicale.
Con un colpo magistrale, da “Maestro” quale era, Zappa precorre nuovamente i tempi fondendo rock/jazz/avanguardia anticipando così anche un certa idea di jazz-rock e di fusion.
“Hot Rats” raccoglie le idee già in parte espresse in “Uncle Meat” e le mette a fuoco, rendendole perfette e non più perfettibili, ne è esatto esempio “Peaches en Regalia”, per, poi, concupirle con umori più marcatamente jazz, “It Must Be a Camel”, “Little Umbrellas” o the “Son of Mr. Green Genes” (mirabolante evoluzione strumentale dello splendido brano presente proprio su “Uncle Meat”); allo stesso tempo Zappa definisce la più compiuta sintesi tra rock e jazz con le splendide “Willie the Pimp” (affidata alla voce di Captain Beefheart”) e nell’happening strumentale “The Gumbo Variations” (dal confronto tra l’LP e il successivo CD si può notare come il brano fosse della durata di 12:55 in vinile, poi portato in “digitale” a 16:57). Il 20 dicembre del 2019, per i 50 anni di “Hot Rats”, verrà pubblicato il cofanetto “The Hot Rats Session”; tra “take”, “section”, “outtake”, versioni alternative … remix … brani non presenti sul disco originario … spiccano i 32:42 minuti di “Big Legs (Unedited Master Take)”, altro titolo per “The Gumbo Variations”, i 27:56 minuti di “Another Waltz (Unedited Master)”, altro titolo per “Little House I Used To Live In” (pubblicata, come detto, in ulteriore versione “ridotta” su “Burnt Weeny Sandwich”), i 10:27 minuti di “Directly from My Heart to You” (Unedited Master)” (pubblicata in ulteriore versione “ridotta” su “Weasels Ripped My Flesh”), i 10:59 minuti di “Bognor Regis”, i 12:45 minuti “Lil’ Clanton Shuffle”, le “Peaches Jam” … oltre a una strumentale “Willie the Pimp (1969 Quick Mix)” di 14:29 minuti. Per motivi cronologici, si richiama l’attenzione nuovamente sugli ottimi “Weasels Ripped My Flesh” e “Burnt Weeny Sandwich”, entrambi pubblicati nel 1970, con i The Mothers of Invention (di cui si è fatto già cenno in precedenza).
“Hot Rats” resterà un “miracolo” che (purtroppo) non si ripete appieno con il pur buono “Waka/Jawaka”, pubblicato il 5 luglio del 1972; le abrasioni e gli “spigoli” di “Hot Rats” si leniscono e si smussano, la matrici jazz e sperimentali si ampliano, il suono diventa più riflessivo e a tratti onirico.
Se “Hot Rats” aveva in un certo senso anticipato anche il Miles Davis di “Bitches Brew”, “Waka/Jawaka” ne coglie gli aspetti più psichici e introspettivi, come facilmente percepibile dal brano di apertura “Big Swifty” che, con i suoi 17:46, andrà a occupare tutto il primo lato del vinile. Differentemente da “Hot Rats” (che compare come dicitura sulla copertina di “Waka/Jawaka) il disco presenta due brani “canonici”, avulsi rispetto al restante mood: il blues “Your Mouth” e il country “deviato” “It Just Might Be a One-Shot Deal”. Il brano eponimo, in chiusura, mette in risalto l’approccio bandistico e fusion ed è naturale preludio al successivo “The Grand Wazoo”.
Registrato contemporaneamente a “Waka/Jawaka” ma pubblicato quattro mesi dopo (il 27 novembre del 1972), “The Grand Wazoo” ne rappresenta espressione da “banda” oltre a vedere il ritorno “in copertina” dei “The Mothers”. Il disco narra la leggenda di Cletus Awreetus-Awrightus, Imperatore “funky” e del suo Grand Wazoo, alla testa di un esercito di musicisti in lotta contro l’esercito musicale della mediocrità di Mediocrates De Pedestrium: “CLETUS immediately calls his service. Instructors are given for BEN-HUR BARRET to contract the whole army (if Motown will let him take any outside jobs, this being perhaps the most outside job he could get). The combined forces of the Army Awreetus include 5,000 brass players (assorted) which is the AIR FORCE, 5,000 drummers (assorted) which is THE ARTILLERY, 5,000 players of electric instruments (assorted) which is THE CHEMICAL / BIOLOGICAL / PSHYCOLOGICAL WARFARE SECTION, and 5,000 guys with masonite boards strapped on their chests, each one firmly grasping half a coconut shell in either hand which they pummel rhythmically on the board… this is THE CAVALRY. CLETUS leads them into battle with his gleaming MYSTERY HORN (many believe this instrument to be nothing more than a “C” Melody Saxophone, borrowed from Jackie Kelso).The enemy army of MEDIOCRATES OF PEDESTRIUM (known as THE M.O.P.) has similar sections, except for a new platoon of sinister mercenaries called THE STRING SECTION, or alternately, THE SWEETENER. The main difference between the two armies, however, is THE M.O.P. is heavy on vocals.THE M.O.P. has 5,000 dynamic male vocalists in tuxedos who stand in the middle of the road, loosen their bow ties, and arch one eyebrow, 5,000 dynamic male vocalists with fringed smocks, tunics, jumpers, and Nudie shirts, 5,000 dynamic (but carefully understated) male vocalists in old Levi clothes who cry, sulk, whimper, and play harmonica, plus 5,000 more dynamic performers of indeterminate sex who can’t sing at all, but dance good and do hot moves with the mike wire. These are reinforced by 100,000 black girl backup singers (assorted) who sway in a trained manner and get funky on command. As if that weren’t enough, there’s another 5,000 girl Lead Singers, many of which are so sensitive they’re invisible and the rest of which are so overwhelming they hurt your eyes whenever the light gets on them.Every Monday, THE M.O.P. marches into Awreetus Country and lines up outside the main metropolitan area. By means of small-but-powerful portable transmitter, the combined forces of MEDIOCRATES proceed to croon, strut, blither, and bloop a suspiciously accessible barrage of DITTIES into the airwaves in an attempt to anesthetize the decent townspeople into drooling submission. CLETUS ‘n the Army Awreetus defend their turf by marching to a nearby hummock and playing a shuffle.” (si legge, in parte, delle note di copertina).
La versione LP, rispetto alla versione successiva in CD, ha i primi due brani invertiti nell’ordine; sicuramente l’apertura in “digitale” affidata “The Grand Wazoo” è di enorme impatto nella sintesi tra l’orchestrazione da banda, il funky e una chitarra che “sbaraglia le fila”, rispetto alla pacata, assonnata e surreale “For Calvin (and His Next Two Hitch-Hikers)”, unico brano, tra l’altro, cantato. Di pregio “Eat That Question”, rock/jazz/fusion di livello e “Blessed Relief”, un’altro vertice raggiunto dal Zappa compositore. Grande è, poi, la cura per i “temi” che si spiccano in tutto il disco.
“The Grand Wazoo” chiude il secondo ideale trittico (“Hot Rats”, Waka/Jawaka”, “The Grand Wazoo”, dopo quello d’oro degli anni sessanta (“Freak Out!”, “Absolutely Free”, “We’re Only in It for the Money”) e congeda il periodo di massima creatività di Frank Zappa. Negli anni successivi, Zappa pubblicherà dischi con cadenza “ossessiva” tra album in studio e live.
Tra i live pubblicati in vita, oltre ai già nominati, da segnalare la collana enciclopedia, in più volumi, “You Can’t Do That on Stage Anymore” (nel volume 3 sono presenti “Cocaine Decisions” e “Nig Biz” registrate a Palermo, il 14 luglio 1982. Nel corso di “Cocaine Decisions”, iniziarono dei disordini e nella registrazione si sentono Zappa e il roadie Massimo Bassoli che tentano di calmare la folla), ma soprattutto l’interessante “Zappa in New York”, pubblicato nel 1978 e contenente registrazioni del 1976 (ristampato in versione deluxe) , “Does Humor Belong in Music?”, pubblicato nel 1986 e contenente registrazioni del 1984 (bello anche il video del concerto), “Make a Jazz Noise Here”, pubblicato nel 1991 e contenente registrazioni del 1988, oltre ai due dischi “dedicati alla chitarra”: “Shut Up ‘n Play Yer Guitar” e “Guitar”.
Per quanto concerne i lavori in studio, i brani celebri (come “Zoot Allures”, “The Torture Never Stops”, “Cosmic Debris”, “Bobby Brown Goes Down”, “Sharleena” …) sono stati ricompresi in ottime versioni nei dischi dal vivo; va detto che Zappa, in alcuni casi, ha pubblicato live contenenti brani “composti” da registrazioni dei singoli strumenti (gli assoli di chitarra su tutti) effettuate in momenti diversi e poi mixate insieme, così come molti dischi in studio fanno capo a registrazioni anche live. Nel corso di questi anni, nelle formazioni di Zappa si alterneranno musicisti destinati a diventare famosi come Steve Vai (e le sue “impossible guitar parts”; divertente il racconto – reperibile on line – che fa Steve Vai della sua audizione con Frank Zappa), Adrian Belew, Terry Bozzio (batterista per il quale Zappa compose la celebre “The Black Page”).
Sempre per quanto concerne i dischi in studio, nel 1979 Zappa pubblicherà in tre atti (I, II e III) l’ottimo “dispotico” concept “Joe’s Garage”, in cui la narrazione è affidata alla voce del Central Scrutinizer e in cui si susseguono canzoni efficaci; “Joe’s Garage”, “Catholic Girls”, “Keep It Greasey”, “A Little Green Rosetta” … oltre a “Watermelon in Easter Hay” (a parere di chi scrive una delle più riuscite intuizioni per chitarra di Zappa insieme a “Treacherous Cretins” da “Shut Up ‘n Play Yer Guitar”)
Negli anni ottanta, Zappa compie l’ennesimo “patto mefistofelico” dando alle stampe, il 15 novembre del 1986, “Jazz From Hell“, superba testimonianza di una “fusion” fuori dagli schemi e intrisa di avanguardia. Sul sito ufficiale di zappa si legge come sua dichiarazione: “Things in America can be from hell. Right now we have a president from hell, and a National Security Council from hell, so we should add Jazz from Hell also.” (https://www.zappa.com).
Il disco, ad eccezione della bella “St. Etienne”, è concepito per synclavier e si impone da subito con il perfetto brano d’apertura “Night School”, per poi confermarsi con “G-Spot Tornado”, con “Jazz From Hell”, con “Damp Ankles” e perfino con la più imprevedibile “While You Were Art”. Con “Jazz From Hell” … si ritorna poi a quanto scritto in apertura di articolo, con Zappa proiettato verso “Yellow “Shark” e “Civilization Phaze III”.
Dopo aver ripercorso la carriera artistica di Frank Zappa si ripropone, ancora più forte, quel senso di mancanza che la sua morte ha lasciato e l’interrogativo di cosa avrebbe prodotto se fosse stato ancora in vita.
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