Una dovuta precisazione preliminare: i Gong hanno pubblicato, nel 1973, “Flying Teapot – Radio Gnome Invisible Part 1” che, a parere di chi scrive, è uno dei più bei dischi non solo tra quelli comunemente attribuiti alla scena “rock progressive” ma anche di tutti i tempi (il podio, per entrambe le categorie, lo occupa “Rock Bottom” di Robert Wyatt), nonché primo capitolo di un’ipotetica incredibile e irripetibile trilogia proseguita con “Angel’s Egg”, sempre del 1973, e conclusasi con “You” del 1974.
I Gong, creatura di David Allen (cofondatore con Robert Wyatt dei Soft Machine) e Gilli Smyth, non furono (per i loro tempi) sicuramente i più bravi tecnicamente (il podio probabilmente spetta, nel “complesso”, ai Gentle Giant), non furono i più sperimentali (King Crimson e Henry Cow insegnano; per gli Henry Cow, in sodalizio con gli Slapp Happy, andrebbe aperto un capitolo a parte), non furono i più “canterburiani” (inarrivabili i Caravan, i Matching Mole, gli Hatfield And The North e i National Health), non operarono la miglior fusione tra rock e jazz (la cattedra va ai Soft Machine), non furono letterati come i Genesis di Peter Gabriel, né solenni come gli Yes, non furono un supergruppo come gli Emerson, Lake & Palmer, non operarono una narrazione apocalittica come i Magma, non hanno raggiunto la fama dei Pink Floyd, né furono celebri “minori” come gli Audience, i Cressida, gli Spring, i Greenslade, gli Egg … furono però unici nel genere, stemperando l’austero e spesso autoreferenziale piglio dei tanti gruppi rock progressive dell’epoca con una surreale e sghemba vena ironica che si riverberava tanto nella musica, quanto nei testi; di culto e totalizzante la storia contenuta nella citata trilogia con la sue teiere volanti, il suo Zero the Hero, lo yogi della birra Banana Ananda, la strega Yoni … e tutti i personaggi della “mitologia” del pianeta Gong in cui la visione hippie e freak di Allen si fondeva con le intuizioni “spaziali” della chitarra di Steve Hillage (da ricordare “Space Shanty” dei suoi Khan del 1972), i fiati di Didier Malherbe (altro storico membro dei Gong), le tastiere di Tim Blake, la voce della Smyth, il basso di Francis Moze e la batteria di Laurie Allan (questa è la formazione di “Flying Teapot”, compagine che subirà modifiche anche nel corso della “trilogia” stessa con l’ingresso, tra l’altro, di Mike Howlett al basso e Pierre Moerlen alla batteria, marimba e vibrafono già in “Angel’s Egg”).
“You”, oltre a rappresentare l’ultimo capitolo della “trilogia”, vede, dopo la sua pubblicazione, anche l’addio di Allen, della Smyth e di Hillage (che parteciperà a “Shamal” del 1976 come ospite) chiudendo un’“era” ma aprendone una successiva, “multiforme” e longeva, che sotto l’egida di Pierre Moerlen prima (da ricordare anche la partecipazione di Allan Holdsworth), il ritorno di Allen (morto nel 2015), della Smyth e di Hillage poi (per tutti l’album “2032” del 2009), è giunta sino alla recente pubblicazione di “Unending Ascending” (Kscope), con una formazione che vede Fabio Golfetti – voce, chitarra; Dave Sturt – basso e voce; Ian East – fiati; Kavus Torabi – chitarra e voce; Cheb Nettles – batteria e voce.
Sebbene gli attuali Gong non si possano paragonare a quelli del periodo d’oro 1973-1974 (sono stati negli anni pubblicati anche diversi live registrati tra il 1972 e il 1974 – “Live At Sheffield 1974” ne è un esempio), le matrici psichedeliche con aperture jazzistiche e l’assenza di eccessiva “magniloquenza”, rendono “Unending Ascending” un lavoro piacevole da ascoltare, con spunti di pregio come l’ottima “My Guitar Is a Spaceship”, caratterizzata un perfetto rifa “duro” di chitarra, solida ritmica, fiati tirati, esatta linea vocale e con un finale che evoca alcune composizioni di Frank Zappa (nei Gong anche delle origini ci sono similitudini con alcune intuizioni di Zappa; basta ascoltare “Help, I’m A Rock (Suite In Three Movements)“ a firma The Mothers of Invention).
“Tiny Galaxies” e “O, Arcturus” sono “classiche” nel loro gusto retrò melodico, armonico e di arrangiamento (ad eccezione degli assoli più “moderni”), “Ship of Ishtar” è un viaggio cosmico-meditativo arricchito dalla voce di Saskia Maxwell, “All Clocks Reset”, strutturato su variazioni tipiche del progressive più “tradizionale”, alza i toni, “Lunar Invocation” e “Asleep Do We Lay” (torna la voce di Saskia Maxwell) rappresentano il momento più lisergico di “Unending Ascending”; menzione a parte per “Choose Your Goddess”, miscellanea di progressive, metal e psichedelia … brano che seppur colpisce, estremizzando quanto anticipato da “All Clocks Reset”, si colloca solo un po troppo “fuori dal pentagramma”.
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