Recentemente, su queste pagine, si è parlato del bel disco della belga (di padre italiano) Melanie De Biasio, “Il Viaggio”, sospeso tra intimo cantautorato e sperimentazione e legato in parte anche all’Italia.
La stessa rotta la segue Marta Del Grandi (italiana con trascorsi in Cina e in Nepal “She visited China, then Nepal where she taught at the Kathmandu Jazz Conservatory” – si legge sul sito della Fire Records) che con “Selva” (Fire Records) conferma quanto di buono già anticipato nel 2021 con “Until We Fossilize”.
“Selva” prosegue, con maggior consapevolezza e maturità, il linguaggio artistico musicale del suo predecessore, mettendo a fuoco le narrazioni, mantenendo un’intima eleganza priva di eccessi e un giusto equilibrio negli arrangiamenti (tutti i brani sono della Del Grandi che oltre a cantare suona: synths, mute piano, electric guitar and programming; con lei, Artan Buleshkaj: electric, baritone and nylon strings guitar; Kobe Boon: Electric and upright bass; Simon Raman: drums and percussion; Benjamin Hermans: bass clarinet and saxophone; Bert Vliegen: additional synths and programming).
Il disco si apre con la bella “Mata Hari” che, dopo un incipit vocale, assume un gusto elettropop, impreziosito dalla linea vocale e dalle “finiture” di chitarra.
Se con “Eye Of The Day”, la Del Grandi si muove su territori da “ballata” classica, nel dialogo di “basso” e voci di “Chameleon Eyes”, con le sue aperture “pop”, regala un piccolo camaleontico acquerello d’autore e con “Snapdragon” un moderno gioco di voci da jazz tribale.
“Marble Season” riporta, con cura nelle sfumature, l’ascoltatore su atmosfere più rilassate e riuscite nel già sentito, mood che si replica per la più dolcemente cupa “End Of The World Pt.1” (in cui la Del Grandi suona la chitarra), si esalta in “Two Halves” (particolarmente intensa nel cambio di registro) e si rischiara in “Stay”, tutti brani dotati di precipua personalità, da cui si distaccano la riuscita “Good Story”, in cui ritorna un gusto da pop contemporaneo, “Polar Bear Village” (a suo agio, soprattutto nell’arpeggio e nella linea vocale, in un disco di rock progressive britannico degli anni settanta – emergono echi dei Genesis con Peter Gabriel), e “End Of The World Pt.2” in cui imperano tappeti di sintetizzatori.
Menzione a parte per l’eponimo “Selva”, sperimentale nelle sovrapposizioni e negli esercizi di voce e unico brano cantato/recitato in italiano.
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