I Radian incarnano uno dei perfetti esempi di come si possa realizzare una crasi tra diverse matrici musicali, con la codifica di un “nuovo” e “contemporaneo” linguaggio che, prescindendo dai gusti personali, non può non essere apprezzato, soprattutto quando è caratterizzato da equilibrio e gusto.
Dopo l’esordio del 1998 con “Radian EP”, Martin Brandlmayr (batteria, vibrafono, elettronica, computer), Stefan Nemeth (sintetizzatori, chitarra e computer) e John Norman (basso) si erano affermati con l’ottimo “Juxtaposition” del 2004 (registrato e missato da John McEntire), poi, perso Nemeth e sostituito alla chitarra, all’elettronica e ai sintetizzatori da Martin Siewert, si erano congedati, nel 2016, con l’altrettanto ottimo “On Dark Silent Off” (da menzionare il brano omonimo e “Rusty Machines, Dusty Carpets”), disco preceduto dalla più celebre collaborazione del 2014 con Howe Gelb “Radian Verses Howe Gelb” (un lavoro non totalmente convincente ma comunque da ricordare anche per la bella “Return To Picacho Peak”), che aveva fatto luce sul più “delicato” profilo del gruppo viennese.
A distanza di otto anni da “On Dark Silent Off” hanno dato alle stampe “Distorted Rooms” (Thrill Jockey), il loro sesto LP, esatta miscellanea di post rock, noise ed elettronica, in cui appare perfetta la sintesi e i dialoghi tra la chitarra, il basso, la batteria e i “suoni”, mai gratuiti, nemmeno negli apparenti eccessi.
Con “Distorted Rooms”, i Radian dimostrano di essersi disancorati da marcati stilemi e di aver maturato una propria identità, sublimata della splendida “Skyskryp12” che racchiude, nei suoi 7:55 minuiti, una massima è riuscitissima espressione musicale fatta di minimalismo, accenni, abrasioni, arpeggi, “eufonia” e “cacofonia” …
In vero, tutto il disco suona con compatta uniformità, non presentando mai cedimenti, sebbene l’ascolto non sia sicuramente dei più “leggeri”.
Partendo da “Cold Suns”, le trame sonore proiettano l’ascoltatore verso trafficate e disturbate autostrade del futuro, ingolfate negli “spegnimenti” di “C At The Gates” e “lanciate” nelle cadenze “sinistre” di “Cicada” e di “Stak”; chiude il disco la claustrofobica, ossessiva e a tratti lancinante “S At The Gates” da anticamera di un inferno tecnologico (I Radian sono abili nel congedare i loro dischi con ottimi brani, penso al già citato “Rusty Machines, Dusty Carpets” e a “Nord” da “Juxtaposition”).
Unica pecca di “Distorted Rooms” è quella di “soffrire” eccessivamente una “fredda” impronta mitteleuropea che tende con spostare le sue coordinate più verso la mente che verso l’anima (ma anche questa è osservazione discutibile poiché figlia della sola sensibilità dello scrivente).
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