Oneohtrix Point Never (ovvero Daniel Lopatin) ha dato alle stampe l’eccellente “Again” (Warp) mostrando di aver trovato un’esatta quadratura musicale ed espressiva.
Con alle spalle una discografia, che dall’esordio del 2007 con “Betrayed In The Octagon”, si è mostrata costante per pubblicazioni proprie, collaborazioni e colonne sonore, e caratterizzata tanto da dischi di pregio, quali il “sognante” e “ambient” “Returnal” (del 2010) e il più “scomposto” “Garden Of Delete” (del 2015) su tutti, quanto da lavori indubbiamente meno riusciti, quale il recente “Magic Oneohtrix Point Never” del 2020 (che poco aveva convinto lo scrivente tanto da definirlo “stanco e a tratti autoreferenziale”), con “Again” OPN si è ampiamente riscattato, riuscendo ad operare una sintesi di generi, suoni e umori, congedando, così, un’“antologia” sonora, meridiana temporale che proietta la sua ombra a 360 gradi su di una “Naked City” contemporanea.
Messa la puntina sul lato A, “Elseware”, se a un primo ascolto “spiazza” nel suo essere orchestrale (esecuzione del NOMAD Ensemble diretto da Robert Ames), l’evoluzione del pezzo e le tensioni armoniche e melodiche segnano sul pentagramma una romantica tristezza e “cupezza” che sommessamente si impossessano dell’animo, battuta dopo battuta, e che conducono alla prima piccola lucida “follia” che è il brano “eponimo” che vede, non a caso, la partecipazione di quel genio di Jim O’Rourke; “Again”, con poetica e delicatezza, emerge dai solchi come un immaginario dialogo dolce e “decadente” tra macchine risvegliatesi con nuova sensibilità umana e che fraseggiano in un corteggiamento di circuiti e transistor (gli arpeggi nella seconda metà del brano mi hanno fatto tornare alla mente la rielaborazione del “G-Spot Tornado” di Frank Zappa nella citazione fatta da Steve Vai con la sua “Ballerina 12/24”).
“World Outside” prosegue quanto anticipato da “Again”, inasprendone l’intenzione, rendendola a tratti tossica, paranoica, violenta e sublimandola con l’incredibile collage di noise, pop cantato, avanguardia e rock acustico: preludio ed epilogo di ciò che sarà l’intero disco (fanno qui, la loro prima apparizione alle chitarre Jeff Gitelman e Lee Ranaldo; chitarre eccelse nel “trapanate” finale).
“Krumville”, conclude magistralmente il primo lato, e si immortala nella sua “decomposta” bellezza di cantautorato indie, destrutturato, meccanico ed elettronico (a Ranaldo si aggiunge Nathan Salon – che ne è anche coautore con Lopatin – e i Xiu Xiu alla voce).
Con “Locrian Midwest” Lopatin ribadisce il suo gusto per le colonne sonore, nel tema iniziale, nelle parti di rompler guitar e nei suoni di sintetizzatori finali d’altri tempi, sebbene poi centrifughi e “spezzetti” il tutto “again, again, again …” (ritornano alla voce i Xiu Xiu).
“Plastic Antique” è (nella prima metà) danza rituale per robot, per poi perdersi nei “rigurgiti” finali di un oceano cosmico.
Tra intermezzi elettroacustici da soundtrack di lusso come “Gray Subviolet” (è presente ancora il NOMAD Ensemble diretto da Robert Ames perfettamente fuso ai suoni di sintesi, sopratutto nel crescendo finale), si impongono il lavoro per voci processate “The Body Trail” e la bella e totalizzante “Nightmare Paint” (altro gioiello che inaugura il secondo vinile aprendo il Side C), entrambe simili più a narrazioni cinematografiche in evoluzione che a brani musicali; “Nightmare Paint” è, poi, sferzata da venti di atomici e cibernetici, da arpeggi e da frammenti di assoli (Jeff Gitelman alla chitarra), condensando nei suoi 4:18 minuti potenziali spunti per un autonomo intero disco.
Si è già citato Steve Vai, penso ai suoi “amori alieni” e mi viene in mente un disco di un altro virtuoso della “6 corde”, Joe Satriani, dal titolo “Surfing With The Alien” (con la splendida copertina dedicata a Silver Surfer); dico ciò perché ascoltando per la prima volta “Memories of Music” e la sua chitarra (suonata da Lee Ranaldo) di notte, in macchina, su una strada fuori città, sono stato vittima di un “abduction” e mi sono perso in un multiverso sonoro … l’arpeggio da “sintetizzatore” a metà pezzo … mi ha poi violentemente riportato sulla terra e abbandonato tra i versi dei “tre diversi animali” pinkfloydiani …: “Memories of Music” è un altro momento di alto pregio presente in “Again” che potrebbe essere “ponte” ideale per le produzioni firmate Manfred Eicher.
“On an Axis”, grazie alla partecipazione dei Lovesliescrushing, di Lee Ranldo e di Nathan Salon (quest’ultimo anche in questo caso coautore con Lopatin), crea una perfetta crasi tra ambientazioni del futuro e shoegaze ed indie rock del passato (prossimo).
Le irrequietezze si placano negli austeri paesaggi sonori di “Ubiquity Road” (cha apre il Side D) attraversati da strade che collassano nel finale per condurre al “sentiero” imaginifico che è “A Barely Lit Path”: “opera completa”, a sé, di spessore, “raffinata” dalle orchestrazioni del NOMAD Ensemble sempre diretto da Robert Ames e dalle infinite sfumature elettroniche.
Poiché con ostinata vocazione si continuano a comprare dischi in formato solido, rispetto al mercato “liquido”, il doppio vinile si chiude con la traccia aggiunta “My Dream Dungeon Makeover”, altro brano composto e composito che, dal vago sentore “orientaleggiante” in apertura, passando per un ritmato “balletto”, coreografico, si spegne in onirici gorghi.
Ultima menzione per la bella e significativa foto di copertina, una scultura di Knut Robert Faldbakken.
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