Artista sfuggente, che proprio a dispetto della buona visibilità dell’esordio – premio della critica al Festival di Sanremo 1984 con il brano ‘La Fenice’ – scelse di rimanere nella sperimentazione pop realizzando 4 dischi originalissimi, assolutamente da recuperare, che però non gli permisero di rimanere a lungo sulla ribalta, Rodolfo Santandrea viene celebrato oggi con questo disco tributo promosso dall’etichetta Snowdonia col supporto del MEI, che ne ripercorre 11 pietre miliari estratte prevalentemente dal primo disco omonimo del 1984, affidandole alla rielaborazione di altrettanti artisti moderni, i quali ovviamente interpretano i brani del repertorio di Santandrea rileggendoli a modo proprio, in qualche caso rifacendosi ad inediti e sorprendenti modelli stranieri o contemporanei, stravolgendo giocosamente il carattere barocco, operettistico e violinistico delle versioni originali che vale la pena andarsi a cercare nelle versioni originali.
Alcuni interpreti dell’omaggio scelgono di alzare i toni, come i Manuel Pistacchio che rifanno alla loro maniera ‘Le Aquile’, in una narcotica e cerebrale versione fuzz psichedelica da deserto al tramonto, mentre le Forbici di Manitù mettono le mani su ‘I Marmi Bianchi di Carrara’, suggestiva vetta progressive del repertorio di Santandrea, affidando a clarinetto e fisarmonica il tema originariamente per sintetizzatore, rallentando e valorizzando al massimo l’inciso, ricco di suggestioni barocche e romantiche; Jet Set Roger poi somma la propria teatralità glam a quella electro-pop di Santandrea, ed ecco che ‘Niente’ trova una sintesi in grado di renderla molto radiofonica: due artisti teoricamente molto distanti, eppure accomunati da analoghe eccentricità.
Il trattamento che i Maisie riservano poi ad ‘Un’Arancia’ ci restituisce un brano ancora una volta più “carico” dell’originale, virato tra rhythm’n’blues e Velvet Underground ma con il tipico stile giocoso del gruppo, che inserisce anche una folle, gustosamente gratuita parentesi hard bop nel mezzo; e proprio ‘Un’Arancia’ ci offre lo spunto per sottolineare come per Santandrea sia essenziale, nella musica, giocare con le parole, con il loro suono in particolare, in direzione della filastrocca, con la suggestione degli accostamenti sonori più che col loro significato.
Tra quelli che al contrario snelliscono i brani di Santandrea c’è Stefano Barotti, che per ‘Guance Bianche’ sceglie un arrangiamento per chitarra acustica e pianoforte da taglio folk psichedelico, ben più minimale ed intima della versione originale, mentre Davide Matrisciano punta a digitalizzare ‘Amsterdam’, modernizzandola, snellendola ed in qualche misura normalizzandola in chiave pop; Mapuche e Matteo Castellano trasformano ‘Marta’ in una ballata cantautorale arpeggiata, molto anni 70, ripulendo i barocchismi originari al synth ed affidando ad un kazoo il tema portante.
Paolo Zangara invece interpreta filologicamente ‘Un Delfino’ sostituendo l’arrangiamento classico violino/pianoforte, con gli ottoni, mantenendone intatta l’eleganza e la delicatezza ma rendendo il tutto più avvincente. NichelOdeon e Filippo Manini si lanciano in un’ardito pastiche sperimentale di ‘La Fenice’, rivelandosi come i musicisti forse spiritualmente più affini a Santandrea, che trovava con facilità la sintesi tra classico, sperimentale, pop e naif malgrado rischiasse negli anni 80 di essere erroneamente etichettato come cantautore nonsense. Una versione invece fedele all’originale di ‘La Fenice’ ci viene proposta in apertura del disco da Riccardo Lolli, ed è giusto dire due parole su questo brano memorabile, che fu scritto da Santandrea con la collaborazione di Riccardo Cocciante, ed interpretato al Festival con eccentrica gestualità, facendo appello ad una bellissima, incoraggiante allegoria della vita.
Ma ‘La Fenice’ mostrava anche la possibilità di mettere nel pop moderno il patrimonio di riferimenti della melodia italiana, dell’operetta, e via indietro fino alla musica del 7-800, e fu proprio nel riflusso culturale degli anni 80 che si ebbero gli ultimi significativi tentativi al riguardo da parte di un manipolo di giovani musicisti, tra i quali Santandrea – ma direi anche Ivan Cattaneo, Righeira, Faust’o, Alan Sorrenti, Enzo Carella, Alberto Camerini, Pino D’Angiò… – di immaginare una musica pop che fosse moderna, originale, ma anche autenticamente nostra. A suo modo una forma di resistenza risoltasi con una sconfitta, di cui importò poco, perché passarono i prorompenti modelli commerciali e culturali pop stranieri che rapidamente permearono tutto e al contempo nacquero le nicchie alternative, ancor più esterofile: il risultato lo vediamo oggi nella pochezza della musica pop italiana contemporanea, che non ha una propria particolare identità e nella mappa mondiale appare comunque provinciale e irrilevante: guardando Santandrea che canta ‘La Fenice’ a Sanremo 1984 riconosciamo che quel Festival, che in molti all’epoca disprezzavamo, era oro colato rispetto alla piattezza dei Festival moderni.
L’Omaggio a Rodolfo Santandrea è CD ufficiale del Mei 2023, ed ha avuto una presentazione live al Piccadilly di Faenza il 6 Ottobre scorso cui assieme ai vari partecipanti al disco, ha preso parte lo stesso Santandrea. I bei disegni di copertina e booklet sono di Claudio Milano.
https://snowdonia.bandcamp.com/album/un-sentito-omaggio-a-rodolfo-santandrea
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