Quando ascoltai “Illinois” (del 2005 – “Sufjan Stevens Invites You To: Come On Feel the Illinoise” il titolo in copertina) ne rimasi affascinato sin dalla sua incredibile traccia d’apertura “Concerning The UFO Sighting Near Highland, Illinois”; analoga sorte mi è toccata con l’intenso “Carrie & Lowell”: erano passati dieci anni da “Illinois” e Sufjan Stevens (tra più alti che bassi) si era degnamente ripetuto (basterebbe da “Carrie & Lowell” ascoltare anche solo la splendida “Fourth of July” che, dopo la “straziante” ed “esplosiva” versione live contenuta su “Carrie & Lovell Live” del 2017, nel 2022 è stata oggetto anche di una doppia pubblicazione alternativa come singolo side A e side B).
Ora, nel 2023, dopo altri otto anni di altalenanti pubblicazioni (uno forse dei limiti di Stevens è la sua “eccessiva” prolifica produzione “discografica”), tra cui spiccano per “successo” brani nuovi e “vecchi” quali (su tutte) le cinematografiche “Mystery Of Love” e “Futile Devices” (in una nuova veste), “Chicago” (da “Illinois” e utilizzata nel 2019 per una serie TV), “Love yourself ” e “With my whole heart” (pubblicate nel maggio 2019 “In celebration of Pride Month”), Stevens si è riappropriato della propria intimità, forte nell’essere tanto essenziale quanto diretta, cruda nella sincera poetica delle liriche, dando alle stampe il bel “Javelin” (Asthmatic Kitty).
E se “Carrie & Lovell”, con le sue traiettorie acustiche, era sostanzialmente “dedicato” alla perdita della madre e al “particolare” rapporto con lei e con il suo patrigno, è nuovamente la “sofferenza” personale il motore “che move il sole e l’altre stelle” di Stevens; rispetto a “Carrie & Lovell” mutano però le tinte, quelle grafiche, che da “sbiadito” pantone di ricordi trascolorano in pastello collage, autografando con tratto deciso la capacità di Stevens di evolvere drasticamente seppur in un’apparante immobilità
Nel 2023 gli viene diagnosticata la Sindrome di Guillain-Barré e ad aprile perde il compagno Evans Richardson alla cui memoria dedica proprio “Javelin” con la toccante dichiarazione (d’amore): “This album is dedicated to the light of my life, my beloved partner and best friend Evans Richardson, who passed away in April. He was an absolute gem of a person, full of life, love, laughter, curiosity, integrity, and joy. He was one of those rare and beautiful ones you find only once in a lifetime—precious, impeccable, and absolutely exceptional in every way. I know relationships can be very difficult sometimes, but it’s always worth it to put in the hard work and care for the ones you love, especially the beautiful ones, who are few and far between. If you happen to find that kind of love, hold it close, hold it tight, savor it, tend to it, and give it everything you’ve got, especially in times of trouble. Be kind, be strong, be patient, be forgiving, be vigorous, be wise, and be yourself. Live every day as if it is your last, with fullness and grace, with reverence and love, with gratitude and joy. This is the day the Lord has made. Let us rejoice and be glad in it. Thank you. I love you. XOS” (dal sito ufficiale).
E così, senza compromessi, sin dal primo solco, la bellissima “Goodbye Evergreen” segna con familiare delicato impeto le coordinate del sentire e del raccontare ciò che “Javelin” riserverà all’ascoltatore: brano tranciante nella sua dicotomia acustico ed elettronica, commovente nella sua dichiarazione d’amore e morte.
Sul medesimo registro girano le seguenti “A Running Star” e “Will Anybody Ever Love Me”, entrambe di ottimo livello (tanto da aver anticipato, come singoli, l’uscita del disco), prima che “Everything That Rises” ponga un punto fermo attorno cui far ruotare il vinile: estatica nell’equilibrio lirico/musicale; di pari livello si rivela l’altrettanto esatta e definitiva “So You Are Tired” (non a caso anche essa scelta come singolo).
Se “My Red Little Fox”, abitata da volpi, regine e sogni, è fiabesca e fragile, acquerello incantevole quanto terribile è “Javelin (To Have and To Hold)” che svela nel titolo e nel testo il suo “terribile” significato.
Gli otto minuti (e più) di “Shit Talk” si sviluppano con quieta leggerezza nell’ondeggiare andare della “resa” all’amore, nel proclama di non belligeranza che “stringe” con una consapevolezza che solo l’assenza sa dare e che sublima nella trascendete “evaporazione” finale.
Chiude il disco “There’s a World” di Neil Young, che diviene per Stevens pastorale nell’essere tanto bucolica quanto ieratica (“sacralità” che imperante si manifesta anche in “Genuflecting Ghost”).
Ultima menzione per il ricco, “artistico” e “saggistico” booklet che accompagna il disco (quando non sono solo la musica e i versi a comporre un bel lavoro discografico), con cui Stevens propone “a 48-page book of art and essays written and made by Sufjan” (dal sito ufficiale).
https://javelin.sufjan.com/
https://www.instagram.com/asthmatickittyrecords/