Jonathan Wilson si è affermato negli anni non solo come autore di ottima musica (con una costante che per tutti da “Gentle Spirit” arriva a “Dixie Blur”), ma anche come poliedrico “session man”, tanto da aver accompagnato in tour come musicista (e non solo) Roger Waters e aver partecipato alle sue registrazioni di “The Lockdown Sessions” e di “The Dark Side of The Moon – Redux”.
Una premessa, questa, che nasce doverosa nell’istante in cui sul mio piatto ha girato il Side C di “Eat the Worm” (BMG), lato che si apre con la splendida “Charlie Parker”: un brano totale e totalizzante, mini suite che tra i solchi evoca nell’alternanza di linee vocali, negli assoli di chitarra, nelle tensioni e nelle drammatiche risoluzioni il miglior Roger Waters di “The Pros and Cons of Hitch Hiking” (un disco di grande pregio a parere di chi scrive) e di “The Final Cut”; sfumature di Roger Waters traspaiono per l’intero “Eat the Worm” e mettono a fuoco il gusto retrò di Wilson da sempre volto con lo sguardo a talune produzioni proprie dell’Inghilterra dei primi anni settanta e dei primi anni ottanta.
E a ben ascoltare il Lato C è summa di evocazioni, calate in un processo di “attualizzazione”, impreziosite dalla canterburiana “Stud Ram” (presente solo sul vinile), sospesa tra echi di Hatfield and North e National Health.
Riposizionando la puntina sul primo solco del Side A, e riprendendo una narrazione “ordinata” di “Eat the Worm”, si impone all’ascolto il gusto europeo, romantico e “classico”, della disturbata ballata per pianoforte “Marzipan”.
“Bonamossa” è marziale e ossessiva celebrazione corale, fratturata nel mezzo da allucinazioni tante care a Robert Wyatt.
“Ol Father Time” incalza con dolcezza una preghiera pagana prima che “Hollywood Vape” riconduca l’orecchio verso ambientazioni e sperimentazioni, per umori e mutevole struttura, post sessantottini (malgrado i suoi 2:46 di durata).
“The Village is Dead”, con il suo impeto, è singolo “radiofonico” (anche per durata) perfetto per liricità e fruibilità.
Se “Lo and Behold” ricuce il rapporto di Wilson con le radici folk, la splendida “B.B.F.” si distingue come altra scrittura di spicco di “Eat the Worms”, con le sue cupe “orchestrazioni”, le sue “rotture” vocali, i suoi temi accennati ma incredibilmente funzionali e le sue aperture di luce.
“East La” è esatta miscellanea per pianoforte tra ispirato cantautorato tanto statunitense quanto anglosassone, punto d’unione tra il Neil Young di “After the Gold Rush” ed Elton John.
Appunto speciale anche per il brano di chiusura dell’intero lavoro discografico “Ridin’ in a Jag”: di spicco e giusto compendio del “tutto” nella sua costante variegata essenza.
Se i Pink Floyd cantavano “Waiting for the Worms”, Wilson con “Eat the Worms” ha dimostrato di aver digerito e metabolizzato con acquisita maturità i suoi “nutrienti” artistici, pubblicando probabilmente la sua opera più compiuta.
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