I Fontaines D.C., al secolo Carlos O’Connell (chitarra), Conor Curley (chitarra), Conor Deegan III (basso), Grian Chatten (voce) e Tom Coll (batteria), lanciano da fine aprile per Partisan Records il terzo disco Skinty Fia, prodotto da Dan Carey, con un singolo accattivante, Jackie Down The Line, accompagnato da un video diretto da Hugh Mulhern e interpretato dall’artista, ballerino e coreografo Blackhaine.
La band di Dublino (la sigla D.C., Dublin City, sta proprio per farsi differenziare da una omonima band di Los Angeles) arriva al terzo disco dopo il successo strepitoso di A Hero’s Death del 2020, entrato al #2 in classifica in UK e nominato ai Brit e ai Grammy, e dopo essersi imposta nel palcoscenico europeo con il debutto Dogrel, entrato nella rosa dei candidati del Mercury Music Prize.
Come sempre, è giusto temere l’album della riconferma dopo un successo così strepitoso e soprattutto improvviso e (troppo) veloce. Eppure questo disco conferma tutto il talento di questi ragazzi, che nascono poeti prima di essere musicisti.
Infatti i cinque ragazzi, uniti dal comune interesse per la poesia, hanno pubblicato due raccolte di liriche, la prima intitolata Vroom, e ispirata ai poeti beat Jack Kerouac e Allen Ginsberg, e Winding, ispirata addirittura ai notissimi autori irlandesi James Joyce e William Butler Yeats. Si pensi che per esempio il brano Television Screens di Dogrel, inizialmente poetico, si è poi trasformato solo in un secondo momento in una canzone.
Ebbene questi poeti maledetti e post punk del XXI secolo con Skinty Fia, significativamente già dal titolo scelgono di recuperare, pur fedeli al loro solido punk, la immensa tradizione celtica di musica, canti,e poesia, che il loro splendido paese gli regala. Intitolano perciò disco e prima track in gaelico, e proprio la prima track, In ár gCroíthe go deo, è in assoluto la canzone più celtica del disco, introdotta da cori medievali, su cui si instaura una litania vocale quasi lobotomica (“Gone is the day, gone is the Night”) sulla quale si innestano successivamente in maniera sempre più dirompente batteria e chitarre.
Skinty Fia è una frase irlandese che può essere tradotta come “la dannazione del cervo” (la copertina dell’album presenta appunto un cervo, strappato dal suo habitat naturale e inserito in una casa, illuminato da una luce rossa artificiale): se si pensa che il cervo gigante irlandese è una specie estinta, si comprende che questo simbolo è stato scelto dalla band per dedicarsi in questo disco alla sempre più smarrita identità irlandese dell’isola di fronte la Gran Bretagna.
Già Dogrel era disseminato di riferimenti all’Irlanda, con le sue istantanee dei personaggi di Dublino, (alla Joyce) mentre A Hero’s Death ha documentato lo sconvolgimento e la disconnessione che la band ha provato mentre viaggiava per il mondo in tour.
In Skinty Fia perciò i Fontaines D.C. ritornano a gridare al mondo loro irlandesità, mentre continuano a suonare in tutto il globo per via della loro crescente fama.
Nel terzo disco ci sono echi del rock ‘n’ roll di Dogrel e le atmosfere di A Hero’s Death, ma Skinty Fia rappresenta un nuovo step, ed è la cosa migliore di questo disco. I Fontaines D.C. non si sono fermati, il successo non li ha distratti, e scelgono di stare in uno stato di costante evoluzione che dimostra il loro talento, la loro maturità, ma soprattutto il fatto che sono una band seria, di contenuti, lirici e musicali, e che vogliono dire la loro anche negli anni in futuro.
Vi sono delle scivolate, come The Couple Across the Way, tutta alla fisarmonica e francamente noiosa, ma Roman Holiday, il singolo Jackie down the Line, e soprattutto la potente Big Shot, la epica track iniziale, la punkeggiante e clashiana How Cold Love Is, scandiscono il disco con una musica che affascina. Cercano inoltre sfumature più profonde del punk in una canzone come Skinty Fia, introdotta da un assolo suadente di basso, su cui Grian comincia una specie di rap elettrico e frenetico. Non possono mancare poi in una band di poeti riferimenti letterari: per esempio in Bloomsday, ispirata persino musicalmente a un capitolo dell’Ulisse di Joyce (di cui Leopold Bloom è infatti il protagonista), o in Nabokov, che porta nel titolo l’autore del celebre romanzo scandalistico Lolita. Sbagliato pensare però che siano canzoni noiose o sofisticate: Nabokov ricorda i migliori pezzi dei Verve (una band a cui i Fountaines devono senz’altro molto) e Bloomsday è un rock lobotomico sorretto da un basso imponente su cui un riff di chitarra di due sole note introduce la voce quantomai magnetica di Grian.
I Love You è poi una splendida ballad dinamica e rock, che vuole essere uno sconfinamento nel romanticismo, inedito o quasi nel repertorio dei cinque ragazzi.
E’ evidente insomma che con Skinty Fia i Fountaines non vogliono rimanere confinati nella definizione, che sta stretta alla loro musica, di band post-punk, ma hanno ampliato i loro orizzonti. E l’esperimento riesce alla perfezione, producendo quello che è forse il loro migliore lavoro fin qui, affascinante, malinconico, molto rock ma al contempo magnetico e profondo. Con Skinty Fia si candidano in definitiva a essere una delle band più promettenti dei prossimi anni.
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