Qualche mese fa usciva “Morte a credito”, prima prova in studio per La Notte Dei Lunghi Coltelli, progetto musicale di Karim Qqru, già batteria nei The Zen Circus.
Raggiungo Karim su Skype: sono passati pochi giorni dalle elezioni e noto che il suo stato personale è la canzone degli Zen Circus “La democrazia semplicemente non funziona”…
È fresca la frase degli Zen che hai come status sul profilo Skype? L’hai scritta in occasione delle elezioni?
No. Non uso Skype da un anno. Ormai va di moda FB anche per le interviste scritte. Nessuno PURTROPPO usa più Skype.
Diciamo che è quindi una costante di pensiero. È cambiato qualcosa dopo queste elezioni o vale ancora la pena ricordare che la democrazia non funziona?
Bah. Sono solo peggiorate le cose a mio avviso.
In che modo?
Forse in molti non si stanno rendendo conto del punto a cui siamo arrivati. Pensano a fare il tifo mentre il paese va giù. “Vi abbiamo fatto il culo” e roba del genere, come se fosse una gara, senza capire che in Italia ci stiamo tutti. Questa tornata elettorale rappresenta la spinta verso il vuoto. Va beh, dai, cominciamo l’intervista, almeno ci tiriamo su di morale. (ride)
Oh, ma già siamo in intervista.
Ahahah.
Un vuoto che mi fa pensare all’ “urlo prima dell’urto”: quanto siamo vicini all’urto?
Si, ma ai tempi di Camus l’economia era più solida. Siamo molto vicini. Mai stati così vicini. Economicamente e moralmente.
Soluzioni? Qualcuno parla di decrescita come risposta al consumismo figlio di un libero mercato incontrollato che ci ha portato a ciò.
Le soluzioni non ci sono. Non immediate. Non esiste una panacea per decenni di scempio. Le generazioni antecedenti alla nostra hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità in questo sogno a colori sgargianti dove tutto, grazie a mutui, tredicesime e chi più ne ha più ne metta, poteva essere disponibile. Anche alle classi sociali più basse: il riscatto per loro era comprarsi la televisione a colori. Paradossalmente la crisi inizia con il boom economico degli anni ’60: da quel momento è iniziato (lentamente) un processo consumistico sconosciuto alle masse sino a quel momento. Ed il mercato si è felicemente adagiato su questo trend.
Quando mi si dice che le generazioni precedenti (o anche attuali) vivono al di sopra delle loro possibilità c’è sempre un grande punto interrogativo che mi balena in mente: a che pro? Nel senso, siamo “maniaci” del guadagnare non per sfruttare le risorse economiche me per imporci uno status (economico e successivamente sociale) superiore. La domanda è, ancora, a che pro?
Il mondo viene cambiato intorno a te. Diventano necessarie una serie di cose sino a quel momento inutili. Ed un sistema intero a strati viene costruito su una dinamica di questo tipo. Così il prossimo prodotto in uscita ti sembrerà fondamentale, lo dovrai comprare per forza. A che cazzo serve uno spremiagrumi elettrico? Guarda, io bevo spremute ogni giorno: è sufficiente quello dove devi muovere le manine. Ma no, con l’altro fai prima, fatichi di meno ed hai più tempo per compiere azioni che diventano causa e conseguenza di quello stesso processo che ti ha portato a comprare lo spremiagrumi elettrico. Lo so, sono discorsi antagonisti da due soldi, produci, consuma, crepa: lo hanno già detto. Ed in un modo migliore. Ma purtroppo è così. E questo sistema è comodo. Ti parla uno che senza rendersene conto ne è diventato complice, come tutti, con il tempo, pur cercando di evitarlo a priori.
Sono discorsi che però a quanto pare vengono facilmente dimenticati, quindi forse è bene ricordarlo un po’. Come credi di esserne diventato complice tu personalmente?
Se guardo dentro la mia casa ci sono tonnellate di oggetti inutili, eppure stanno li. Certe cose, al tempo dell’acquisto, ti sembrano non dico fondamentali… utili. Ecco, è questo che ti frega: il concetto di utilità. La lavastoviglie, per esempio. Ahahahahahaha Dai, cazzo, però quella in effetti è davvero comoda.
Io la vedo molto come una sorta di schizofrenia di massa, anelare a un guadagno sempre maggiore anche a discapito del mondo in cui viviamo, non solo umano ma in toto (penso ai disastri ambientali causati da aziende scellerate che per risparmiare cifre per loro inique affidano i rifiuti tossici dei loro scarti a chi ben sappiamo, sempre con il punto interrogativo legato a quale pro tutto ciò). Per quanto riguarda la sete di guadagno smodato di chi detiene il potere economico?
Dunque: più guadagni, più spendi.
Ma io non credo che ‘sta gente riesca a spendere tutti i soldi che guadagna.
Il discorso “ma questi con tutti i soldi che hanno potrebbero smettere di lavorare ed andare su un’isola deserta” è sbagliato. Questi stronzi costruiscono un’impalcatura economica enorme. Per mantenere quello che hanno buttano soldi su soldi. Detto questo di sicuro non correrebbero il rischio di rimanere a secco, ma io ci vedo dietro un bisogno di potere che trascende il solo denaro. I soldi sono uno strumento di forza. Sempre. Sono il metro di paragone del potere.
Ti faccio l’ultima domanda “fuori percorso” e poi parliamo de La Notte Dei Lunghi Coltelli (come avremmo dovuto fare già da un bel po’): hai parlato del tifo nato durante queste elezioni: il fazionismo però mi pare sia una costante della storia dell’essere umano, quello che poi si tramuta in fede ultrà o fondamentalismo religioso, fomentato per creare astio fra le persone in modo che ci si concentri su lotte effimere che non puntano alle problematiche reali: credi sia peggio ora rispetto a prima e perché?
L’ignoranza crea divisione. La paura crea divisione. Quando ci troviamo in difficoltà spesso abbiamo bisogno di qualcuno contro il quale sfogare il proprio risentimento. Necessitiamo l’esistenza di un obiettivo, necessitiamo la vittoria, a volte. Ora lo scenario è drastico, c’è una confusione nel tessuto sociale mai conosciuta prima. Un tempo c’erano i fascisti, i comunisti/socialisti ed i democristiani. Erano parti politiche scisse in modo chiaro, netto. Basti vedere il casino che andò creare il Pentapartito ai tempi nell’idea politica. A mio avviso l’aurea aetas della politica italiana è finita con il termine della prima Repubblica. Negli ultimi 20 anni stiamo involvendo patologicamente. Abbiamo perso di vista i punti base. Se portassimo con una macchina del tempo una persona dagli anni ‘70 ad oggi senza farle subire il lento processo di stordimento degli ultimi anni penserebbe ad uno scherzo pesante e di cattivo gusto, una sorta di delirio boccaccesco e lynchiano. È cambiato anche il modo di usare l’italiano: spariti i congiuntivi, periodi sempre più brevi, messaggi corti e mirati.
È più forte di me, devo farti n’altra domanda “fuori percorso”: cosa ne pensi di questo ennesimo smacco alla “estrema” sinistra di Ingroia?
Ahahahahahahahaha, estrema? Oddio.
Ho virgolettato appositamente, ma nell’immaginario collettivo direi che rappresenta quello (tra l’altro un giudice comunista).
Guarda, non stai parlando certo con un comunista. Io ho sempre tenuto le distanze dalla sinistra italiana. E lo stesso ho fatto per la destra. Ma, per favore, non prendiamoci in giro: in Italia è necessaria una sinistra solida, non il PD. Dopo la Bolognina è venuto giù tutto come un castello di carta. In un paese politicamente normale sono essenziali tre cose: un partito dei Verdi forte ed influente (non allo 0,1), una sinistra vera ed una destra liberale solida e lontana da quelle porcate neofasciste. Si tratta di equilibri, una costante irrinunciabile per vivere in modo sano la politica e di conseguenza il sociale. Queste poi chiaramente è la mia opinione.
Passiamo a parlare di musica. Partiamo dal vostro nome, La notte dei lunghi coltelli: vogliamo ricordare a chi magari ha studiato poco cosa ricorda il nome da voi scelto e come mai è stato scelto?
La notte dei lunghi coltelli fu l’epurazione da parte delle camicie brune di Röhm da parte delle SS. Ho scelto questo nome per il tragico simbolismo che si porta dietro: usare qualcuno per perseguire un obiettivo e schiacciarlo dopo averlo ottenuto, una dinamica sempre più presente nelle nostre vite, nella politica, nello sport, nelle relazioni, nel lavoro. Ho usato il nome di un evento storico disgustoso ed oggettivamente sbagliato per un semplice motivo: per descrivere qualcosa di negativo non si può usare un’immagine positiva. Ovviamente non ci sono richiami politici, ma questo è abbastanza ovvio.
Con La Notte Dei Lunghi Coltelli è un po’ come se facessi un salto indietro nel tempo, visto che nasci proprio come chitarrista e cantante in band sludge e noise (LWE, Lillayell). La prima band che ti vede dietro le pelli sono gli Elbaròmbriago, mix di surf, metal e prog: cosa ti ha lasciato quell’esperienza, soprattutto per quanto riguarda il lato prog?
Conta che con Elbaròmbriago la situazione fu assurda. Fu la band con la quale cominciai a suonare la batteria. Imparai con loro. Non ero un batterista quando entrai nell’organico. La cosa buffa fu l’iniziare a suonare in modo atipico. I brani erano pezzi strumentali da 6-7 minuti con qualcosa come 10-12 cambi a brano, pochi tempi pari, molti 3/4, 5/4, 7/4. Mi ritrovai a fare roba complicatissima per un novellino. Questa cosa ebbe delle conseguenze. Quando mi chiamarono gli Zen ci misi 3-4 prove per riuscire a tenere un 4/4 suonato con groove e precisione. Impiegai del tempo a capire cosa significasse davvero suonare la batteria. Quando poi ti chiamano a fare il turnista infatti vogliono quello: tempi semplici suonati bene, pulizia di esecuzione ed affidabilità. Nulla di male a fare roba contorta, io la adoro, ma prima è meglio imparare le basi.
Quindi non riuscivi in pratica a fare cose semplici.
Infilavo rullate INUTILI ovunque. E sai bene che la batteria degli Zen è ritmica al 100%: parti semplici suonate bene, con tiro e precisione. Roba più difficile di quello che in realtà credevo.
E da metallaro com’è stato ai tempi entrare negli Zen?
Mah, guarda, io non ero un metallaro duro e puro. Ascoltavo (e ascolto) Pantera, Slayer, Sepultura, Megadeth ed Anthrax ma anche Germs, Sick Of It All, Zeke, Atari Teenage Riot, Joy Division, Nirvana, Melvins, Sonic Youth, Jesus Lizard, Shellac, Modest Mouse. Adoravo Battisti ma quando entrai negli Zen non avevo mai ascoltato, chessò, gli Afterhours. La musica italiana dei ‘90 non mi è mai piaciuta. Però, per farti un esempio, mi intrippai con la roba nuova degli After dal 2005 in poi. So quanto sia stata importante quella scena per l’Italia, ma non riesco a farmela piacere, non ci posso fare nulla.
Gli After nemmeno a me sono mai piaciuti più di tanto (e ancora non riesco a farmeli piacere), però ci sono state delle belle robe nei ’90: io adoro ad esempio gli Estra e un personaggio troppo denigrato e sottovalutato è stato di sicuro Grignani, la scena dub partenopea…
Va beh, io adoro “La fabbrica di plastica”, ci sono cresciuto con quel disco ed ogni volta che lo dico vengo offeso da tutti. (ride)
Anche “Campi di popcorn” è un gran bell’album, che sono poi gli unici due suoi fighi: poi s’è messo a fa’ cazzate. Giustamente, direi, visto che lo smerdavano i “rocker”, lo smerdavano i suoi ex fan e non vendeva manco più.
Però capisco che Afterhours e Marlene Kuntz abbiano cambiato la vita a tanta gente. E sono contento dell’esistenza di quella scena, dico davvero.
Leggo che il disco nasce da un “immaginario che fonde il grottesco ai lati più oscuri della storia del ‘900… l’attenzione alla storia, al nostro comune passato e alle interazioni tra gli uomini… richiamo esplicito ad episodi chiave, seppur tremendi, nell’evoluzione della nostra storia recente… sguardo impietoso che i testi di Karim, crudi e diretti, gettano sull’animo umano, sulla sua violenza e la sua bassezza”. Ora siamo negli anni 2000 ormai inoltrati: è cambiato qualcosa nell’essere umano in questi 100 e passa anni?
È cambiato il lato estetico e le dinamiche attraverso le quali ci muoviamo nel mondo e nella vita ma, in nuce, credo la pasta sia la stessa.
Che intendi per “lato estetico”?
La nostra armatura, o meglio Il modo nel quale appariamo, che sia esso il linguaggio, le mode o altro.
Mi viene in mente un film, “Ghost world” in cui si parla di come il razzismo esista ancora oggi ma lo veliamo per essere in qualche modo politically correct, perché “non si fa”, non perché ci crediamo davvero.
Esattamente.
Lo sguardo di Céline, che si staglia su tutto il disco, era alquanto cinico ai tempi: l’hai fatto tuo questo cinismo o c’è in Karim Qqru anche voglia di pensare positivo?
Credo che nell’uomo sia insita una varietà enorme di pulsioni e sentimenti. Io vado a momenti: in una giornata riesco ad avere il momento più felice e più triste di tutta la settimana, nell’arco di poche ore. Siamo schiavi della chimica. Siamo in balia del nostro cervello, della chimica che lavora in modo costante nel nostro cervello.
C’è qualcosa di particolare che ti porta a ragionare in maniera positiva o negativa?
Beh, il tempo atmosferico in primis. Sembra una cazzata ma è così. Se mi sveglio e vedo splendere il sole molto probabilmente sarà una bella giornata. Dormo poco, soffro d’insonnia. Se apro gli occhi e vedo la pioggia o il grigio questa cosa mi leva le poche forze guadagnate nella notte. Ed è meglio lasciarmi in pace. (ride)
Sempre più persone soffrono di meteoropatia e insonnia: credi ci sia un legame fra ciò e le influenze che subiamo socialmente?
La mia insonnia è figlia dell’ipertiroidismo, quindi per quella ho una spiegazione. Sulla meteoropatia, beh… ci sta. Viviamo a volte in un equilibrio poco stabile, nel quale basta una spintarella per finire da una parte o dall’altra. Una giornata di sole può essere fondamentale e questo ci rende incredibilmente italiani: delle spugne, irascibili, sentimentali, colleriche, capaci di comportarsi da eroi o da delinquenti nella stessa giornata.
Diciamo che la spinta a comportarsi da delinquenti è quella più in auge, a quanto mi par di vedere.
Si, ma credo che in molte persone viva un dualismo. Non riesco a vedere il male completo in una persona, nonostante le azioni commesse siano disgustose.
Come sono nati i featuring (Aimone Romizi, Nicola Manzan, Emanuele Braca, Diego Pani)?
Le collaborazioni sono il frutto dell’amicizia e del rispetto musicale nei confronti delle persone chiamate. Aimone, Nicola e Diego sono amici per i quali nutro un forte rispetto. La nostra visione musicale è abbastanza simile. Ed hanno arricchito l’album.
Ci tenete a far sapere che l’album è stato registrato in una cantina del 1500, nei sotterranei del centro storico di Forlì: come mai rimarcare questo aspetto?
Beh, la pre-produzione fatta nella cantina di casa mia fu fondamentale. Quando presi la casa in affitto mi ritrovai con questa cantina spaventosamente bella, tipica di tutte le case a piano terra del centro storico forlivese. Alcune di queste venivano usate nei periodi di epidemie per tenere i cadaveri prima della sepoltura comune. C’era un clima strano mentre registravamo i provini. Ha influito su alcuni brani. La ghost track del disco, “Veglia comune”, è composta da parti registrate durante i provini, non in studio come il resto: quel brano riassume alla perfezione il clima della cantina, che tra l’altro è una parte della mia casa dove non vado mai. C’è poca luce, l’aria pesante: non è vivibile. Il mio cane, Iggy, un piccolo bastardino coraggiosissimo, non ci vuole mai scendere. Se lo porto giù guaisce e scappa: questa cosa fece cagare addosso Izio 🙂 (e anche me).
Iggy da Iggy Pop?
Si. È un cane abbandonato che trovai vicino a casa mia ad Alghero, tra Palmadula e L’Argentiera.
Tornando a parlare di Céline, quale dei suoi romanzi consigli a chi vuole approcciarsi per la prima volta a questo scrittore?
Mmm, allora… Céline ha una dialettica che a primo impatto può risultare ostica. Molte persone dopo tre pagine non riescono ad andare avanti. Fa a pugni con la punteggiatura e con la sintassi. Fu un rivoluzionario dell’approccio alla scrittura. Io comincerei da uno dei suoi ultimi libri, uno dei miei preferiti: “Nord”. Se invece volete avvicinarvi ad un testo più semplice, sia nella scrittura che nella dimensione… beh, direi “Casse-pipe”.
Quali altri artisti sono citati in “Morte a credito” e come sono stati scelti?
In “Morte a credito” ho provato ad infilare altri due scrittori francesi. Il primo è Albert Camus: il testo de “La Caduta” è ispirato proprio da “La chute”. Il secondo è Prévert: il testo del brano in francese è la sua bellissima poesia “J’ai toujours été intact de dieu”. Per il brano strumentale del disco scelsi il titolo “Ivan Iljc”, il protagonista de “La morte di Ivan Iljc” di Tolstoj: il susseguirsi di umori e di dinamiche del brano mi dava la sensazione di quel saliscendi emotivo, fulcro delle ultimissime pagine del romanzo, il titolo infatti lo scelsi quando il brano era già ultimato.
Per quanto riguarda invece le influenze prettamente musicali con quali band ti sei “confrontato”?
È stato un processo molto naturale, niente di programmato. Ho buttato dentro molte delle influenze musicali che ho da anni e che con il tempo non sono scemate: L’HC, l’industrial, lo sludge, la ambient, il punk. Sono contento del risultato. C’è una linea in questo album intorno alla quale girano molti ascolti, molte influenze, ma si sente un’impronta personale che non rende il tutto un mescolone casuale tra generi, il rischio più grosso del fare un disco eterogeneo.
Il risultato è notevole, anche se magari ostico per chi gravita al di fuori del genere (nonostante non sia propriamente hardcore in toto ma risulti una summa di generi trattati in maniera fortemente personale e fondamentalmente inedita). A questo proposito, visto che qui passiamo da Battisti all’hardcore, da Grignani all’ambient, cosa ne pensi di chi, sia pubblico che artisti, si chiude in un genere senza aprirsi ad altro?
È la morte. La morte della musica. E te lo dice uno che sino a 18 faceva i classici discorsi sullo stile “questa è merda, quella no”. Eppure avevo già fatto svariati dischi e tour. Purtroppo questa costante la troviamo molto nel cosiddetto ambiente “indie”.
Consigliamo tre dischi che nessuno si aspetterebbe tu possa consigliare.
Italiani: “La fabbrica di plastica” di Gianluca Grignani, “Aida” di Rino Gaetano e “Anima Latina” di Lucio Battisti. Esteri: “Scratch the surface” dei Sick of it all, “Jane Doe” dei Converge e “Mellon Collie” degli Smashing Pumpkins. Questi sono i primi 6 album venuti in mente. Non sono i miei 6 preferiti sennò avrei citato Stooges, Cramps, Ramones,Slayer, Joy Division, Melvins e mille altri 🙂
C’è una domanda o qualche aneddoto che avresti voluto sempre emergesse in un’intervista ma non è mai accaduto? Se si, ti do la possibilità di farlo (tipica situazione marzulliana del “fatti una domanda e datti una risposta”)
Mmm, non mi sovviene nulla. 🙂 Magari mi sveglio stanotte urlando e me lo ricordo.
https://www.facebook.com/lanottedeilunghicoltelli
http://www.youtube.com/user/ILunghicoltelli
autore: Giuseppe Galato
foto di copertina: Ilaria Magliocchetti Lombi