Dopo una lunga pausa discografica (10 anni) ritornano i dEUS rinnovati nella formazione e pronti a ribadire il loro ruolo da protagonisti nella scena rock europea, dove si erano affermati, grazie a dischi di valore assoluto come “Worst Case Scenario” (1994), “In A Bar, Under The Sea” e “The Ideal Crash” (1999) che hanno imposto il nome di Tom Barman, come quello di uno degli autori più brillanti emersi negli anni novanta.
Nonostante il lungo periodo di inattività, dedicato a qualche progetto solista ed alla riedizione degli album di maggiore successo, Barman e Klaas Janzoons, unici superstiti della formazione iniziale, hanno rispolverato la sigla dEUS per continuare il percorso da dove lo avevano lasciato con “Following Sea” (2012).
Quello che troviamo nel nuovo album “How To Replace It” è qualcosa di familiare ma che suona anche come nuovo, fedele a quella filosofia espressa bene da Tom Barman, nella cartella stampa di presentazione: “Non vuoi ripeterti, ma hai il tuo stile”. E questo si avverte sin dalle prime note della title track che apre il disco e che poggia su di un solido ritmo percussivo, mantenuto quasi sempre in primo piano con il gruppo belga che sembra rifarsi ai Bad Seeds di Nick Cave, per poi rientrare subito nei ranghi con la successiva “Must Have Been New” che riporta l’ascoltatore nella confort zone dei primi album. Ma questo è solo uno degli aspetti musicali di un disco che varia lo stile di brano in brano, come nella corale “Man Of The House” dove le chitarre sature sono maggiormente presenti che altrove.
“1989” è un brano che fa storcere un po’ il naso perché suona datato e poco affine al percorso musicale della band. I cambi d’atmosfera di brano in brano sono un’altra caratteristica di questo disco ed hanno bisogno un po’ di tempo per essere assimilati, perché ogni singola canzone contiene elementi diversi da scoprire ascolto dopo ascolto.
Proprio questa eccessiva varietà può rappresentare il tallone d’Achille del disco perché accanto a brani che risultano, diciamo così, un po’ indigesti come la già citata “1989” e “Dream Is A Giver” ce ne sono altri come “Never Get You High” o “ Why Think It Over (Cadillac)” che portano a promuovere incondizionatamente il disco. Altro elemento un po’ spiazzante è la voce di Barman, a volte familiare, e altre volte rimodulata su registri più bassi che sembrano voler richiamare Leonard Cohen o un Tom Waits senza raucedine, senza che questo venga visto come accezione negativa.
In definitiva “How To Replace It” è un buon disco che vuole certamente segnare un passo in avanti e quanto risulti, riuscito o meno, lo diranno i ripetuti ascolti e la capacità di mantenere alta la nostra attenzione.
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autore: Eliseno Sposato