Sinuoso e notturno. Tra elettronica e umori jazz da giungla urbana scorre il “tempo” tanto ancestrale quanto contemporaneo di “Tempus” (Mute), l’ultimo lavoro discografico a firma Pole.
A un quanto di secolo (circa) dal trittico d’esordio electro dub Stefan Betke continua a “suonare” con coscienza e saggia parsimonia.
L’incedere di “Cenote” apre il campo alle grigie autostrade sabbiose di “Grauer Sand”, prima che il parcellizzato minimalismo di “Alp” trascini l’orecchio in astrattismi cubisti.
La danza cadenzata di “Steckmück” è sfregiata da passaggi atonali, brevi voli di insetti ronzanti su papaveri da impollinare.
Il minimale pianoforte di “Firmament” costella di note un magmatico ribollire di gas che diradandosi lasciano spazio alla composita e cerebrale “Tempus”.
Chiudono il disco gli interstizi psichedelici della crescente “Allermannsharinsch”, congedando un lavoro discografico da ascolto e da accompagnamento.
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autore: Marco Sica