Da poche settimane ristampato anche in versione vinile, il quarto album dei torinesi Dead Cat In A Bag rappresenta in maniera eccellente quello che è diventato oggi il Rock, vale a dire la nostra “musica classica” cioè quella forma di espressione artistica che si rinnova senza potersi più innovare, dato che il linguaggio può essere solo re-interpretato in mille modi diversi.
Questo è quello che fanno Luca Swanz Andriolo, Scardanelli e Andrea Bertola, nel loro progetto musicale aperto come sempre alla compartecipazione di musicisti di diversa estrazione, chiamati ad arricchire ogni singolo disco, a seconda delle esigenze maturate in fase di composizione. “We’ve Been Through” è un lavoro di ampio respiro cinematografico, come sempre intriso nei testi, di forti tinte malinconiche che molto bene si sposano con le tematiche musicali di un disco che potremmo definire di genere “americana” dove folk e rock si mescolano con il blues, ma che vengono arricchiti anche da atmosfere balcaniche.
Aperto da uno trascinante swamp blues (“The Cat Is Dead”) in cui spicca la presenza di Gianni Maroccolo al basso, e la voce roca di Luca “Swanz” Andriolo sempre più profonda e con inevitabili assonanze con Tom Waits, il disco prosegue con “From Here” in cui una poesia di Garcia Lorca viene musicata e spinta sui territori del Mark Lanegan più tenebroso. “Between Day and Night” è una splendida torch song che potrebbe essere uscita dal repertorio dei Walkabouts, e che serve propedeuticamente al ritmo che cresce brano dopo brano, come nell’ottima “Evil Plans”. Ad orchestrare il tutto l’ottima co-produzione di Carlo Barbagallo che oltre a suonare in diverse parti del disco firma anche come autore, insieme ad Andriolo e Scardanelli il brano “Duet For Nothing”, un pezzo blues alla maniera di Nick Cave, dove spicca anche il duetto vocale tra Swanz e Alessandra K. Soro.
Altro ospite d’eccezione è Liam McKahey – ex Cousteau che scrive e canta con intenso trasporto uno dei pezzi più noir del lotto che è “Lost Friend”. Altro punto d’interesse è la presenza di due cover, davvero trasformate e personalizzate. E se il lavoro sul taditional “Wayfaring Stranger” mette in luce tutta la bravura dei musicisti coinvolti, ancora di più meraviglia in positivo la rilettura di “Hunter’s Lullaby” di Leonard Cohen, orchestrata in maniera eccellente, su di una straniante linea di banjo, sega musicale e fisarmonica e violino che s’intrecciano nella conduzione del brano.
L’album si chiude con due brani molto diversi dai precedenti come sono la balcanica “Fiddler, the Ship is Sinking” una sorta di square dance di stampo mitteleuropeo che introduce il finale da brass band mariachi della title track che chiude al meglio un disco davvero eccellente dove le tante influenze citate sono state prese a modello e lavorate in maniera come sempre molto personale e riconoscibile che confermano come i Dead Cat In A Bag siano una delle band del panorama italiano più ispirate e dal respiro internazionale che si possono ascoltare.
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autore: Eliseno Sposato