Gli Arctic Monkeys sono tornati con un nuovo album uscito il 21 ottobre, e intitolato The Car (Domino Recording Company), registrato tra il monastero Butley Priory di Suffolk, i RAK Studios di Londra e La Frette a Parigi.
Il settimo album in studio della band è composto da 10 tracce con testi del frontman Alex Turner e prodotte da James Ford. Dopo Tranquillity Base Hotel + Casino, uscito nel 2018, e già molto diverso dai precedenti per il suo stile lounge e psichedelico, con The Car gli Arctic Monkeys definitivamente svoltano verso un nuovo orizzonte musicale, sontuosamente orchestrato, che apre la strada ad alcune delle migliori e più ricche performance vocali della carriera di Turner. Già il precedente disco conteneva molte novità, e gli Artic Monkeys dimostravano di aver voglia di non essere etichettati più come band brit-rock del terzo millennio.
Va detto che l’etichetta di nuovo brit rock è sempre stata stretta agli Artic Monkeys, e a loro non è mai piaciuta. Ma se si ascoltano Don’t Sit Down ‘Cause I’ve Moved Your Chair, o When the Sun Goes Down, o Cornerstone, una cosa non può essere messa in dubbio: che si tratta di rock, in qualunque sfumatura lo si voglia confezionare.
Adesso invece con The Car gli Artic Monkeys oltre a svoltare si può dire che “osano”: osano anzitutto dare vita a un disco orchestrale, con molto pianoforte, archi, e ritmi assolutamente lenti, swing addirittura. E nelle trame musicali non c’è nulla di rock.
Canzone modello di questa svolta è l’iniziale There’d Better Be A Mirrorball, che può essere il vero manifesto di questo nuovo disco. in questa canzone scompare o quasi la chitarra, per esempio, che ricompare in modalità funk in I Ain’t Quite Where I Think I Am, i cui ritmi di batteria restano però sempre lento e addirittura soul.
In realtà non si troverà in tutto il disco uno scostamento da questi ritmi: Sculptures of Anything Goes introduce un sound più cupo, più oscuro e esistenziale, ma non cambia la sensazione di trovarsi di fronte un disco degli anni ’50. Jet Skis on the Moat torna sul funk della chitarra, mentre forse solo Body Paint e Mr Schwartz possono forse definirsi canzone che potrebbe stare nei vecchi album degli Artic Monkeys. Mentre The Car, retta intorno al pianoforte, è altro manifesto del disco, non a caso incaricandosi di portarne il titolo come title track.
In mezzo a tutte queste novità, la ulteriore notizia è la voce di Turner: è lui per sua stessa ammissione l’artefice della svolta, della ricerca di nuovi sound (la chitarra lo aveva stancato, ha dichiarato in prossimità dell’uscita del disco) e sembra che lo abbia fatto per sperimentare toni e modulazioni nuovi della sua voce, che certamente appare qui completamente rinata e diversa rispetto a quanto poteva essere espresso nella modalità del brit rock. C’è tantissimo falsetto di tipo soul, in cui Turner sembra divertirsi a trovare infinite pieghe della sua voce.
A conclusione del disco, tuttavia, rimane il dubbio che tutto questo cambiare sia una sorta di esercitazione di mestiere, qualcosa di manieristico. Sicuramente l’ascoltatore rimarrà spiazzato e si chiederà chi sono i veri Artic Monkeys, domanda che, a questo stato della loro discografia, a questo punto non è dato di rispondere.
Certo, The Car trova profondità e spessori musicali completamente sconosciuti ai precedenti Artic Monkeys, come se il gruppo a un certo momento della loro carriera avesse voluto dire ai fan, e non solo ai fan: “badate, noi non siamo solo questo ma sappiamo fare anche molto altro”.
Il che è certamente una cosa positiva, e da apprezzare. Ma dove è davvero l’identità musicale, la personalità degli Artic Monkeys? Sarà da attendere al varco dei prossimi episodi discografici.
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autore: Francesco Postiglione
TRACKLIST
There’d Better Be A Mirrorball
I Ain’t Quite Where I Think I Am
Sculptures Of Anything Goes
Jet Skis On The Moat
Body Paint
The Car
Big Ideas
Hello You
Mr Schwartz
Perfect Sense