I newyorkesi Bodega pubblicano il loro secondo lavoro e affinano così le loro doti sospese tra l’alt-rock e il post-punk. L’aggettivo riguardante da dove provengono non è assolutamente casuale, in quanto il loro sound è direttamente figlio delle dinamiche musicali, e non solo, della grande mela. Il post-punk, infatti, non è necessariamente di matrice Usa ma in molte occasioni evoca anche quello europeo dei primissimi anni ‘80. Se nel loro sound si intravedono molti riferimenti ad alcuni dei grandi gruppi di quella città è altrettanto vero che il gruppo è riuscito ad amalgamare le loro istanze innovative con alcune sonorità del passato, per cui se con “Statuette On the Console” i Bodega hanno messo d’accordo una volta per tutte i Velvet Underground più vibranti e nervosi con i Ramones, passando per i Pixies, in “After Jane” si lasciano andare ad un folk sperimentale e ad un cantato vagamente stonato. Il gruppo fondato da Lou Reed e John Cale viene evocato anche in “All Past Lovers” e inevitabilmente in “NYC (Disambiguation)”. Va sottolineata l’ottima scelta di utilizzare sia la voce femminile che maschile a partire dall’iniziale “Thrown”, brano scheggiato tra l’hip-hop e Beck, che fa il paio con la nervosa “Doers”. Le chitarre lineari e geometriche del post-punk emergono nella schematica “C.I.R.P.”, mentre con “No Blade Of Glass” i newyorkesi riescono a trovare la quadratura del cerchio tra hip-hop, post punk e rock melodico. C’è spazio anche per una ballata, “Seneca The Stoic”, seppur piuttosto deviata. Disco quasi impeccabile!
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autore: Vittorio Lannutti