“C’è sempre una settima occasione per una prima impressione”: questo è il commento significativo di Paul Banks, leader degli Interpol, alla presentazione del settimo disco della band. Ed in effetti l’album vuole esplorare nuovi territori per la band: i nuovi brani degli Interpol sono permeate da una sorta di sfumatura che si potrebbe definire post-country e post-jazz, una voglia di sperimentare e una ricerca di grazia e pace (Fables o My Credit) laddove nei primi dischi c’rea rabbia e malinconia. Gli arrangiamenti di chitarra di Daniel Kessler si elevano, Samuel Fogarino punta alla precisione sulle percussioni mentre la voce di Paul Banks cerca tonalità verso il basso, ed è quasi sempre soffusa, dolce, dimessa, quasi ad accompagnare questa svolta “easy” (come citato anche nell’ultimo brano del disco, Go Easy appunto) della musica degli Interpol.
La svolta era stata accennata per la verità già dal disco precedente, Marauder, che in maniera diretta e consapevole aveva cambiato registro per tutte le sue tracce rispetto ai tentativi ancora mediati con il sound vecchio stampo che si trovavano in Interpol e El Pintor.
Addio definitivo dunque a pezzi stile Interpol originari come All the Rages back Home, My Desire, Everything is Wrong, di El Pintor o Barricade, Lights o Success di Interpol, che rappresentavano la continuità rispetto al glorioso passato di dischi come Turn on the Bright Lights o Antics
Qui la svolta è completa. Fables, Into the Night, My Credit, che seguono il primo singolo e anche prima traccia del disco, Toni, segnano nella maniera più precisa e consapevole questo passaggio, soprattutto indicato dai ritmi di batteria, che si fanno difficili, tortuosi, e mai aggressivi, appunto post-jazz, se così si può dire.
La chitarra di Kessler cerca raffinatissimi e soprattutto suadenti riff, ma non è più cattiva o graffiante, e cerca sfumature country in My Credit, mentre addirittura lascia il posto di protagonista a un piano che detta il ritmo (stile Keane) in Something Changed. Per ascoltare qualcosa che vagamente assomigli agli Interpol di NYC, Evil, Slow Hands, Obstacle I, Untitled, i veri classici intramontabili di questa band, dobbiamo arrivare a metà disco a Renegade Hearts, ma soprattutto a Gran Hotel, l’unica canzone che starebbe comodamente dentro ciascuno dei primi dischi, e in parte anche a Big Shot City e Go Easy, che concludono il disco riportandoci qualcosa delle atmosfere vecchio stile, cercando di mescolarle con venature elettroniche.
Un discorso a parte merita il singolo Toni, che è pensato sin dall’inizio per rientrare fra le hits da suonare dal vivo. Eppure anche questo singolo di lancio, il cui intro e riff iniziale di piano è tanto simile a lavori passati della band, ha in fondo uno stile ben diverso, soprattutto di ritmo e di rabbia, dalle hit che hanno resi famosi Paul Banks e compagni.
Singolare anche la storia del video che lo accompagna: è infatti la prima delle due parti di un film di danza stile West Side Story diretto da Van Alpert (Post Malone, Machine Gun Kelly), di cui presto è in arrivo anche la seconda su Something Canghed.
Sulla collaborazione, Banks commenta: “Lavorare al video di Toni con Van Alpert è stato pazzesco. Abbiamo legato subito perché condividiamo la passione per i video musicali più classici, come quelli diretti da Glazer, Cunningham e Jonze. Secondo me Van si colloca tra queste leggende ed è bellissimo vederlo al lavoro”. Fa da contraltare il regista del video, Van Alpert, che ha detto: “Ho buttato giù un’idea folle che mi sembrava fosse nuova per gli Interpol, un film di danza super moderno e cinematografico. Una storia in stile Lover’s on the Run, con un classico finale sospeso. Lavorare con la mia band preferita di sempre è stato un sogno! Paul Banks riesce a legare tutto ed eleva il concetto perché è davvero un grande attore, artista e collaboratore”.
The Other Side of Make-Believe ha preso forma nel 2020. Nei primi mesi del 2021, gli Interpol si sono riuniti per lavorare insieme sul nuovo materiale in una casa in affitto sui monti Catskill, prima dei ritocchi finali che sono stati applicati nel nord di Londra, per la prima volta insieme al veterano Flood (Mark Ellis, U2) e ritornando a collaborare con l’ex co-produttore Alan Moulder. Con questo disco, in trilogia con i due precedenti, gli Interpol si incoronano definitivamente band rock a tutto campo, rinunciando all’etichetta di band indie o new wave che li definiva quando la rabbia, la disperazione malinconica, dominava le loro canzoni e rendeva struggente il modo di cantare di Banks, che in assoluto insieme a Fogarino è quello che risulta più trasformato in questa evoluzione.
Se si ascolta il riff introduttivo di Passenger, e la voce in bassi toni che lo accompagna, non si può certo dire che la trasformazione degli Interpol sia una involuzione, un regresso. La melodica che li ha sempre caratterizzati è ancora tutta lì, ma in questo disco come nel precedente lascia il passo a tentativi sperimentali (guardate il tempo di batteria di Greenwich, per esempio) e a una ricerca spasmodica di raffinatezza stilistica (My Credit, Something Changed), che alla fine soffoca il grido più primordiale.
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autore: Francesco Postiglione