Un synth aggressivo che fa da voce solista, poi un piano, all’interno di un intro elettronico: sembra nel solco della sperimentazione l’inizio del nuovo disco dei Mogwai con la traccia Here we, Here we, Here we go, ma è solo una provocata impressione. I Mogwai restano anche in questo decimo disco, , uscito il 19 febbraio per Rock Action Records, la band che conosciamo ormai da tempo, fedelissimi al loro stile post-rock di cui sono i maestri indiscussi. CD, doppio vinile, box set speciale che include il CD, il doppio vinile colorato, il vinile singolo speciale con cinque demo dell’album e un libro fotografico: tutto è stato pensato per questa uscita, e per i loro tantissimi fan e collezionisti. L’album vede la produzione di Dave Fridmann e la collaborazione di Atticus Ross (nel brano Midnight Flit) e Colin Stetson (nel brano Pat Stains), ed è stato registrato nel Worcestershire anche se in origine era previsto in America, ma il Covid ha fatto cambiare i programmi.
E, come dice il titolo e annunciavamo noi, è nel segno della continuità: il primo singolo, Dry Fantasy, è un pezzo che più Mogwai non si può, tra post-rock e dream pop, giocato tutto sulla magia della chitarra di Stuart Braithwaite. La novità semmai è che il disco ha aspettato ben 4 anni per vedere la luce, dopo Every Country’s Sun del 2017, e soprattutto è il secondo album dei Mogwai ad entrare nella Top 10 – con addirittura il primato settimanale in Top1 -, dopo il leggendario Rave Tapes del 2014.
Dal 2017 ad oggi certo una band come i Mogwai non poteva star ferma: ha pubblicato una retrospettiva intitolata Central Belters e ha realizzato la colonna sonora del documentario Atomic nel 2018. Infine ha quest’anno pubblicato la colonna sonora per la serie originale SkyZeroZeroZero, con la metà del ricavato destinato a Help Musicians e a NHS Charities.
Altri pezzi pienamente Mogwai sono Ritchie Sacramento, cantata da Stuart con la sua voce trasognata (i pezzi cantati non sono lo standard ma nemmeno una novità assoluta nella discografia della band), con il suo rock potente e la chitarra in cui si riconosce ancora una volta la lezione di The Edge degli U2 vecchio stile, e Drive the Nail, entrambi rockeggianti e meno dream-pop.
Tutto l’album oscilla, diciamo così, fra il confine del rock da un estremo e il puro dream-pop dall’altro (per esempio in Midnight Flit o Fuck Off Money, più oniriche e piene di archi e tastiere): ma è proprio quello a cui la band scozzese ci ha abituato da sempre. Dominic Aitchison picchia sul basso e Martin Bulloch sulla batteria, come sempre puntualissima e rigorosa, mentre Barry Burns, che ha sostituito lo storico John Cummings, interviene su tutto il resto. Uno schema preciso, perfetto, che si ripete costantemente, e che ha segnato il successo di questa band in tutto il mondo nonostante il suo essere fuori dagli schemi rock per l’assenza del cantato principalmente.
Un’assenza del cantato che da possibile mancanza ha fatto invece stile, storia, epoca: Alan McGee, il loro manager, disse una volta “la cosa buona di voi è che nessuno se ne frega di come apparite e quindi non importerà quando apparirete vecchi e fuori moda”. E’ assolutamente così: un nome che non ha significato, una carriera basata sull’assenza di ego e di palcoscenici, assenza di scandali, a cui si aggiunge, dicono nella band stessa, anche assenza di programmazione: dieci album e nessun programma, nessuna discussione preventiva di come dovessero suonare o venir fuori registrati.
Semplicemente la musica, come da dichiarata (ma qualche volta violata, come detto) volontà di non cantare.
Una scelta intransigente, che ha fatto scuola, e segna un altro capolavoro, anche se privo di novità o sperimentazioni.
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autore: Francesco Postiglione
Track listing:
1. To The Bin My Friend, Tonight We Vacate Earth
2. Here We, Here We, Here We Go
3. Dry Fantasy
4. Ritchie Sacramento
5. Drive The Nail
6. Fuck Off Money
7. Ceiling Granny
8. Midnight Flit
9. Pat Stains
10. Supposedly, We Were Nightmares
11. It’s What I Want To Do, Mum