Alcuni lavori discografici hanno la capacità di assorbire il tempo e renderlo proprio. Così è “Deserto” degli Oké (progetto di Andrea Visani – aka Katzuma o Deda negli anni con i Sangue Misto: Sequences, Electronic Percussions, William Simone: Batá, Congas, Electronic Percussions, FX e Andrea Calì: Rhodes, Synths).
Probabilmente la mia è partigianeria, nutrendo una personale predilezione per le matrici ispiratrici che girano i solchi del doppio vinile edito dall’Original Cultures, stilemi che, tra cosmic jazz, deep house, reminiscenze etniche e library music, serrano in diciotto tracce un viaggio sonoro tra cielo e terra, tramutando, per dirla alla James Frazer, la superstizione ancestrale, prima in magia, poi in religione e infine in scienza.
L’abbrivio, come prefazione e indice, è l’“Oasi” nel Deserto, a metà strada tra un post Bitches Brew e un Napoli Centrale delle origini, prima che “Five Tribes” assorba in summa ecumenica il sapore del tutto.
“Ochosi Ayiloda” introduce voce da Madre Africa, nella reminiscenza che colpisce al petto tutti noi, nel suo senso di perdita di un qualcosa di comune e appartenuto come atavica coscienza collettiva.
“Arq” si muove sinuosa ed è preludio alla dedica a Toni Esposito de “Il venditore d’elastici”, nella sua rivisitazione cosmica con echi da monocolo The Residents, brano che congeda il primo dei quattro lati e che di fatto punta le coordinate di un “Deserto” che, in un ossimoro concettuale, sarà fecondo in tutta la sua estensione.
“Cabilia” compie nuovamente una meritoria operazione di sintesi con spunti di chitarra alla E2-E4, mentre è esatta “Tarantula” nel piangere solo l’assenza di una tromba.
E se per Jon Hassell l’“Eqiuinox” era Vernal, in Okè fraseggi di corde tessono liane di un’intricata foresta sonora prima che cali la notte in una stravolta e stravolgente “A Night in Tunisia”, sviscerata del suo celebre tema obnubilato in un notturno noir.
Su “The Tale of the Web Footed Rain Frog”, scorrono i rassicuranti titoli di coda di un coraggioso (per i tempi) doppio vinile, opera sincera e meritoria in tempi di fruizione liquida.
E in occasione dell’uscita di “Deserto” abbiamo raccolto alcune dichiarazioni degli Oké, nella persona di Andrea Visani e dell’Original Cultures nella persona di Cristian Adamo.
‘Un disco dal suono solido e compatto, forte del valore ritmico e percussivo e dalla percipua cifra stilistica. Sulle medesime coordinate si colloca la scelta di pubblicare in doppio vinile; ciò in un momento storico che vede la musica sciogliersi sempre più nella sua dimensione liquida. Questa vostra fedeltà alla linea da dove nasce?’
‘Un progetto come “Okè” ci permette di lavorare in totale libertà inseguendo una visione spontanea di come fare musica. Questo significa che a lavoro ultimato quando si è trattato di decidere se scartare dei brani o pubblicare un doppio LP, non ci abbiamo pensato due volte. Però appunto si è trattato di una scelta spontanea, senza una linea a cui essere fedeli. La formula che adottiamo quando suoniamo in studio o live dà sempre risultati inaspettati. Andrea (Calì) e William (Simone) sono due musicisti jazz, abituati all’improvvisazione, mentre io faccio musica col computer e i campionatori da quasi trent’anni ormai. Quando abbiamo iniziato a suonare assieme ci interessava un suono che potesse rappresentare i nostri gusti e il nostro background (le percussioni afro-cubane di William, le tastiere di Andrea e le sequenze e gli arrangiamenti che produco io) ma anche che ci permettesse di esplorare mondi per noi inediti’.
‘Spesso sono solito definire taluni lavori discografici OOPArt: oggetti senza tempo. Così appare e si colloca “Deserto” che, sebbene mostri reminiscenze sospese tra un post DescrizioneBitches Brew, una tradizione afro-jazz e pulsioni di elettronica eterogenea, vive di indiscussa identità tale da superare i confini di una statica dimensione spazio temporale. Cosa ha determinato, quindi, in termini di scrittura e di arrangiamento, la genesi e la realizzazione finale del disco?’
‘Quando abbiamo iniziato le prime sessioni in cui improvvisare un pò di idee, avevamo già stabilito una sorta di “paletta di suoni” con un timbro abbastanza definito. Ci interessava utilizzare suoni percussivi anche per le parti melodiche e di armonia, quindi vibrafoni marimbe e via dicendo. Questo credo abbia influenzato molto le atmosfere del disco. Arrivati a metà della lavorazione ci siamo resi conto che stava prendendo forma un tema di fondo che accomunava tutte le tracce, sia quelle che tendevano alla musica per immagini che quelle più house. E abbiamo spinto ulteriormente in quella direzione, arrivando a pensare ad un album “concept” nella tradizione della “library music” anni settanta’.
‘Original Cultures è un progetto senza scopo di lucro che nasce dalla volontà di creare contenuti originali e inediti, dentro aree della cultura contemporanea inerenti alla musica e le arti visive – dichiara, poi, Cristian Adamo – Dal 2008 abbiamo realizzato eventi unici, laboratori culturali e un’etichetta discografica. Attraverso il nostro lavoro cerchiamo di creare una piattaforma che favorisca il potenziale artistico e la crescita degli artisti coinvolti. Abbiamo realizzato workshop, seminari, showcase dal vivo, mostre e altro ancora, sia in Italia che all’estero. Ogni evento prodotto ha avuto un concetto e una dimensione diversi tra loro. Dal 2014 Original Cultures, si occupa soprattutto di produzione discografica attraverso la pubblicazione di musica inedita sulla propria etichetta. Al momento conta più di 20 uscite’.
autore: Marco Sica
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