“Seaward” è un concept album che trae ispirazione dalla leggenda delle Sette Perle del Mar Tirreno. Il trio livornese/pisano parte da un orizzonte immaginario e crea un viaggio musicale affascinante, unico e selvaggio pieno di psichedelia e virtuosi deliri fuzz. Le due chitarre insieme costruiscono un enorme muro di suono attraverso il quale gli ascoltatori non noteranno mai l’assenza del basso. “Seaward” è probabilmente il lavoro più brillante, potente ed eclettico composto fino ad oggi ed è stato registrato da Matteo Barsacchi e mixato/masterizzato presso l’Audio Design Recordings dal produttore Jordan Andreen (Earthless, Sacri Monti). La band è composta da Matteo Barsacchi (Guitar/Vocal) – che risponde alle nostre domande -; Matteo Sciocchetto (Guitar/Vocal) e Matteo D’Ignazi (Drum/Sound Effect/Vocal).
Come nasce la collaborazione con la vivace Subsound records?
Reduci dal primo album nel 2012, dopo un paio di anni di live ed un cambio di line up, decisi di mettermi alla ricerca di una label eclettica, con l’idea ben chiara di un nostro futuro sviluppo e metamorfosi compositiva. La scelta di Subsound fu’ quindi subito ovvia essendo una label che tratta moltissimi generi underground, mandammo quindi il materiale a Davide ed iniziò da subito la nostra collaborazione che ormai va avanti da piu di 4 anni.
In questo lavoro quali sono state le influenze extra musicali che vi hanno stimolato nella scrittura dei brani dell’album?
Viviamo di fronte all’arcipelago toscano, amo il mare, passeggiare e ascoltare il rumore delle onde soprattutto d’inverno, il mare è per me la più grande fonte di ispirazione e il luogo perfetto per scrivere musica. Siamo anche molto appassionati di mitologia, quindi ho cercato di unire le due cose, mare e mito, identificando la leggenda dell 7 perle del Tirreno ho capito subito che sarebbe stato il tema perfetto per rappresentare la musica e le mie idee.
Al quarto album come musicisti e artisti vi sentite più maturi che in passato? Cosa è cambiato in questi anni?
Sicuramente abbiamo cercato di uscire dal calderone delle band stoner, unendo tutte le nostre influenze a nostro modo e con il nostro sound….i primi dischi sono stati più monolitici e più individuabili in un genere, mentre prima con Holy oak e dopo con Seaward abbiamo deciso di liberarci dagli schemi di della struttura canzone, e di andare dove ci portava il cuore, unendo Progressive rock 70, post rock, classic metal e folk con il nostro stile.
Alla base di tutto questo percorso c’e’ stato sicuramente un’ approfondimento negli ascolti dei Pionieri della Golden Era e la consapevolezza che il disco precedente se pur molto meno commerciale aveva avuto un ottimo riscontro dalla critica.
Quindi è limitativa l’etichetta sonora “psychedelic stoner rock”?
Si credo che con Seaward abbiamo sicuramente imboccato la strada del Prog, che a mio parere è veramente interessante e stimolante in quanto ti da una completa libertà nel songwriting.
Sia per la musica che per attitudine vi proiettate più verso un mercato internazionale?
Assolutamente si, purtroppo a mio parere le nuove generazioni in Italia non sono molto interessate al Rock, soprattutto il rock con riferimenti old school, quindi credo che sia molto più efficace proiettarci verso gli USA dove per cultura il rock è ben radicato e l’Europa che ad oggi è all’avanguardia per il nostro genere sull’aspetto dei Festival e dei Club.
C’è una scena, o singoli artisti/bands, con la quale vi sentite parte di una scena?
E’ un discorso molto spinoso, in Italia a mio parere ci sono ottimi musicisti ed ottime label nel genere Heavy Psych Prog Stoner Blues, ma negli anni non c’e’ mai stata una vera scena coesa, ma molte realtà separate. Mi sento sicuramente parte di una piccolissima crew di musicisti e appassionati di musica che da Nord a Sud si danno da fare non solo per suonare buona musica ma anche per creare eventi, secret show dando spazio cosi a band che difficilmente riuscirebbero a suonare poiché non troppo famose ma davvero di ottima qualità. Se tutte le band del genere sparse in Italia si sentissero parte davvero di una scena e riuscissero ad essere coese ed ad aiutarsi facendo gruppo creando hype, creando occasioni per suonare, promuovendo il made in Italy dal Sud al Nord e viceversa, la scena Italiana potrebbe essere riconosciuta molto di più anche a livello internazionale.
Cosa c’è che non va in Italia e come valutate lo stato di salute del “rock” italiano?
Credo che uno dei primi problemi sia l’individualismo dell’Italiano in generale, quindi il problema parte in primis da li, dall’aspetto del fare il proprio, spesso con un po di invidia dell’altro, questo aspetto non mi appartiene affatto, e credo sia dannoso al rock. Il rock, e tutti i sottogeneri, dovrebbe essere una grande comunità, con spirito di aggregazione come all’origine negli anni 70 e negli anni 90 durante i generator party nel deserto californiano. In quelle scene c’era molto rispetto tra musicisti e molto supporto tra di loro. Questo, secondo me, oggi succede in Europa, lo percepisco con le numerose band che abbiamo conosciuto durante i nostri tour; ci sosteniamo, compriamo dischi e merch, ci scambiamo consigli … siamo tutti fratelli e veri amanti della musica. Penso che sia un bel messaggio per la musica in questo periodo storico. Spero che anche l’ Italia possa migliorare su questo aspetto. Se saremo una grande comunità, se supporteremo la scena andando a vedere i live e non solo delle band oltreoceano o europee, ma anche delle piccole band Italiane, allora si creeranno occasioni, nasceranno nuovi club nuove label e nuove band.
Siete riusciti, last minute, a suonare dal vivo nella vostra città e presentare l’album. Come vivete questo momento di duro blocco delle attività musicali? Un pensiero per il comparto che da 8 mesi non lavora…
Si siamo riusciti davvero last minute, credo che ci debba essere un impegno delle band e di tutte le realtà musicali e della filiera musica, nel reinventarsi ed adattarsi per quanto possibile, partendo dalle band facendo live show con pubblico seduto distanziato o streaming. So perfettamente che il rock è sudore e pogo ma dobbiamo necessariamente adattarci per far sopravvivere i club e per sopravvivere noi stessi. Allo stesso tempo credo che tutta la filiera della quale ho fatto parte anche io, da fonici a montatori di palchi, debba essere unita per far valere i propri diritti di lavoratori sperando che il Governo metta in atto delle manovre per il sostentamento delle persone che si trovano disoccupate.
Domani vi svegliate e la pandemia non c’è più. Musicalmente cosa fareste che oggi non potete fare?
Beh! Personalmente ancor prima di andare a suonare con la mia band, vorrei andare a vedere un po di concerti bevendomi birra fresca in compagnia di amici, sapendo che potremo fare nottata ad abbracciarsi e parlar di musica!!