In sala dal 26 agosto con il suo primo lavoro di fiction, il lungometraggio “Rosa, Pietra, Stella”, raggiungiamo Sannino in un pomeriggio di fine d’estate mentre era al lavoro con Guido Lombardi, tra gli sceneggiatori del film di Michela Aprea.
(F.) Hai maturato una solida esperienza da documentarista, cosa ti ha spinto verso il cinema di finzione?
(S.)Era da tempo che avevo voglia di confrontarmi con un linguaggio diverso, che mi desse la possibilità di lavorare in gruppo. Avevo realizzato 50 minuti di girato, sulla storia di una donna realmente vissuta, una mia amica, ma non avevo intenzione di raccontarne la vicenda: sarebbe troppo coinvolgente, avrei potuto perdere la lucidità del racconto. Quei minuti, però, sono stati fondamentali per scrivere il personaggio di Carmela, le sue complessità caratteriali, il suo modo di ragionare.
(F.) Il film non tradisce la tua capacità di restare aderente alla realtà, come ti sei approcciato alla sua realizzazione ?
(S.) Ho lavorato di cesellatura, come davanti ad un masso di marmo. Il tempo che normalmente impiego per la realizzazione di un documentario, quattro, cinque anni di incontri e riprese, qui l’ho utilizzato per scrivere il film e trovare l’impianto produttivo. Si tratta di approcci profondamente diversi, naturalmente, perché qui il lavoro di costruzione del racconto è realizzato attraverso la scrittura, lasciando fuori tutta l’imprevedibilità del caso che accompagna il lavoro documentaristico.
(F.) Quali sono le difficoltà maggiori che hai incontrato?
(S.) Non ho avuto problemi, avevo già avuto esperienza sul set cinematografico. I nodi maggiori hanno riguardato questioni meramente pratiche. Come a Porta Capuana, un luogo che conosco benissimo (l’autore ha realizzato un documentario sulla zona alle spalle di piazza Garibaldi, presentato nel 2018 al Torino Film Festival, ndr), dove la difficoltà è stata quella di coniugare la realtà, il normale andamento quotidiano della piazza antistante la Porta, con le esigenze filmiche: bisognava chiudere e non far passare nessuno che non fosse una comparsa o che avesse dato il suo assenso (alla pubblicazione e trasmissione di immagini, ndr). Insomma, il flusso vitale andava ricreato e non è stato facile sia per una questione economica, sia perché, la fiction è incompatibile con la meraviglia dell’imprevisto.
(F.) “Rosa, pietra, stella” è sorretto da un cast eccezionale: come hai lavorato alla costruzione dei personaggi e che approccio hai utilizzato con gli attori?
(S.) Si è trattata di un’evoluzione naturale: siamo partiti dall’idea di una madre che incontra un immigrato e abbiamo aggiunto gli elementi della narrazione con un approccio quanto più vicino ad un’idea “ verista” della scrittura. Abbiamo lasciato che “l’opera si facesse da sé”, come diceva Verga.
(F.) Parlare di marginalità, senza rinunciare al napoletano e però riuscendo a tenere Napoli discretamente al suo posto, come ci sei riuscito?
(S.) Usando Napoli come sfondo, come una città metropolitana qual è, come tante altre. Ho cercato di ricorrere il meno possibile agli stereotipi e all’immagine oleografica che ammantano la città.
(F.) Non credi che forse un po’ c’entri il tuo essere un napoletano di provincia (Sannino è originario del comune vesuviano di Portici, ndr)?
(S.) Anche. La vicenda narrata è profondamente legata alla cittadina di Portici. C’è una profonda differenza tra la marginalità vissuta in un paese più o meno benestante e con meno differenze sociali come Portici, rispetto a chi vive al centro o nei quartieri periferici della città. Ci si trova in una condizione ancora più marginale, fuori luogo e in più si può essere più “braccati” dai servizi sociali e subire decisioni che altrove sembrerebbero forzate.
(F.) Il film è stato presentato ai festival di Rotterdam, Giffoni e Pesaro. Ora è in sala a Napoli, Roma, Torino e Milano. Si tratta di un risultato per niente scontato, specie se ci guardiamo alle spalle e pensiamo ai mesi scorsi. Da autore quali pensieri ti hanno attraversato durante il lockdown?
(S.) Presto sarà presentato anche ad Annecy in Francia, a Braunschweig, in Germania e alla prima edizione del festival di Matera. Alla pandemia ho reagito nell’unico modo che potevo, scrivendo, nella convinzione che si trattasse di una parentesi e provando a coglierne l’opportunità, dedicandomi più intensamente al lavoro creativo. Ho pensato molto anche al mio lavoro, a quanto sia stato importante il ruolo della produzione culturale durante la pandemia, alla richiesta che c’è stata, e al pubblico che è più vasto di quello che pensiamo. È arrivato il momento di ripensare al rapporto col pubblico e di rivederne meccanismi e modalità di contatto.
(F.) Lo streaming è sicuramente un’opportunità, le tue opere sono quasi tutte disponibili sulla piattaforma Chili, alla luce anche dell’esperienza appena attraversata, quali sono a tuo avviso le prospettive future per il cinema e il documentario e gli autori del settore?
(S.) Io non sono assolutamente contro la distribuzione in streaming, ma va organizzata. Si tratta di una grande opportunità di fruizione, pressoché infinita, che non può però prescindere dal grande schermo. Del resto quando noi pensiamo ad un primo piano lo facciamo immaginandocelo su uno schermo di 10 metri.
(F.) Il tuo è un film prodotto e realizzato pressoché interamente sul territorio. Napoli e la Campania hanno sempre prodotto grandi professionalità, sono mancati negli anni una struttura produttiva in grado di sostenerne e promuoverne il lavoro: qualcosa è finalmente cambiato?
(S.) Stanno nascendo nuove case di produzione, quelli che c’erano stanno crescendo, si è trattato di un moto spontaneo ma è anche il frutto di un’azione che le Film Commission hanno supportato. Il ruolo delle istituzioni c’è, non può essere negato. Anche in Campania. Potrebbero agire meglio, sicuramente, ma non si può dire che non lo facciano. Le produzioni, le distribuzioni sono sostenute, certo andrebbe allargata la platea ma, soprattutto, manca una politica culturale che agisca sul pubblico, favorendo la fruizione cinematografica, consentendo anche a chi non ha i mezzi economici per farlo di andare al cinema, di fruire delle produzioni culturali e poi agendo sulle scuole e nella programmazione televisiva.
(F.) A tal proposito, qual è la tua posizione sulla proposta di Braucci per una scuola del cinema regionale?
(S.) Sono assolutamente d’accordo.
(F.) Infine, una domanda classica: quali progetti hai in cantiere?
(S.) Nulla di definito. Sto scrivendo due sceneggiature, una con Lombardi.
(F.) Documentario o fiction?
(S.) Ancora fiction
Post Scriptum: “Rosa, pietra, stella” ha vinto il premio come miglior film alla prima edizione del “Matera Film Festival“, concorso internazionale di lungometraggi, cortometraggi e documentari in programma nella cittadina dei “Sassi” dal 24 al 26 settembre. A Ivana Lotito, proprio per l’interpretazione nel film firmato da Sannino, la kermesse lucana ha conferito il premio come miglior attrice protagonista.