“C’era una terra di cavalieri e campi di cotone chiamata il Vecchio Sud… (…) Qui per l’ultima volta furono visti i cavalieri e le loro dame, il padrone e lo schiavo. Cercatelo soltanto nei libri, perché non è altro che il ricordo di un sogno, una civiltà andata via col vento…”
Un contenuto che contestualizzi l’opera, questa la condizione necessaria perché Via col vento torni disponibile nel catalogo di HBO Max. Come a dire che non bastano le parole riportate sopra, le stesse che scorrono sullo schermo dall’alto verso il basso dopo i titoli di testa e che di fatto aprono il film preparando il terreno alle vicende dei 238 minuti più famosi della storia del cinema.
È opportuno precisare ulteriormente che Via col vento è un film d’epoca che racconta una serie di eventi del mondo collocati in un punto preciso della storia? Evidentemente sì, dal momento che se ne discute nel 2020 quando i termini del dibattito sono così stridenti e i tempi tali da dover ribadire l’ovvio, ovvero che il film in questione porta sullo schermo una storia pubblicata nel 1936 e che racconta il mondo nel 1860. Date e dati che comunque non bastano a zittire le polemiche che ruotano intorno al libro di Margareth Mitchell prima e al film poi (ma vale anche il contrario). Il dibattito sull’operazione Via col vento sembra senza fine. Infinito, come l’oggetto della contesa: un gigante della cultura occidentale.
Mitchell scrisse un libro apertamente scorretto ma questi sono i termini che useremmo oggi per commentare un prodotto che descriveva il paese per quello che era. Un ritratto fedele, definito quasi ovunque il Grande Romanzo Americano. David Selznick, il magnifico produttore, lo definì la Bibbia americana. E come una Bibbia, il libro entrò in un numero spropositato di case. Nel pieno della depressione, gli americani spesero 3 dollari per averne una copia, così come è stato stimato che più della metà della popolazione degli Stati Uniti acquistò un biglietto per vedere il film al cinema. Via col vento è un simbolo culturale e per questo sistematicamente viene rimaneggiato. Se il film è la versione più popolare della storia e già nel 1977 qui ne abbiamo riscritto i dialoghi, al libro non è toccata una sorte diversa: è dello scorso gennaio la versione più aggiornata del romanzo, edita da Neri Pozza, che ha presentato la fatica di una nuova traduzione come un’operazione inevitabile, date le mutazioni della lingua – dicono le traduttrici Annamaria Biavasco e Valentina Guani – e la mutata sensibilità sociale verso certi temi – aggiungiamo noi. Perché se sostituire l’uso del voi con il lei è segno dei tempi, il nervo scoperto di un testo che parla (anche) di schiavitù fa della lingua dei neri a big point. I neri parlano all’infinito, sono sgrammaticati, buffi, pigri e furbi, come nella più tradizionale e datata visione della popolazione di colore nella narrazione occidentale. I traduttori italiani della versione del romanzo che abbiamo nei nostri scaffali, non si posero minimamente la questione di rendere quei personaggi diversi da come la scrittrice li aveva descritti, da qui quel “Miz Rossela” che valse l’Oscar alla leggendaria Mammy di Hattie McDaniel. Ma era il 1937 ed Enrico Mattei – in coppia nella traduzione con Ada Salvatori – era un uomo nato nel 1901, non avrebbe mai potuto vedere abbastanza lontano da mettere a fuoco le rivolte del 1968 né le scritte gialle sull’asfalto di Washington.
Del resto snaturare le intenzioni di Margareth Mitchell equivale a tradire lo spirito di un romanzo i cui punti più sorprendenti sono proprio quelli che già all’epoca dovevano essere i più sconcertanti. A proposito di Jeems, uno degli schiavi della storia, leggiamo: “Era sicuro della propria condizione sociale perché i Tarleton possedevano cento negri e – come tutti gli schiavi delle grandi piantagioni – guardava dall’alto in basso i piccoli coltivatori che possedevano pochi schiavi”. È il diciannovesimo secolo, bellezza, un secolo che volgeva alla fine, così come tutto quel mondo complesso che questo enorme romanzo si sforza di raccontare. In questo senso Via col vento ci è utilissimo per capire di cosa parliamo quando parliamo di razzismo negli Stati Uniti. Non il grande racconto dello schiavismo bianco ma quello della sonora caduta di un mondo destinato a scomparire perché ingiusto e fuori dal tempo e dalla morale. Rossella, ex paladina del Sud che smette di rimpiangere i tempi spensierati e lavora la terra come gli schiavi, è l’unico personaggio che sopravvive con ostinazione. Una realtà piena di contraddizioni, allora come oggi. Ogni riduzione, del dibattito e degli argomenti, di questo o di quel momento storico attraverso specifiche e precisazioni, non significa fare attivismo e lo sanno anche alla HBO dal momento che nello stesso comunicato precisano che il film non verrà né tagliato né modificato perché sarebbe come sostenere che quei pregiudizi non siano mai esistiti. Che poi è quanto ha detto Obama a proposito di cancel culture e altre forme di boicottaggio culturale fin troppo normali per il momento presente. Essere critici nei confronti degli altri non è attivismo, non porterà al cambiamento. Non è lanciando pietre che andremo lontano. Perdindirindina.
autrice: Vittoria Romagnuolo