La seconda parte di questo breve, sintetico, incompleto, viaggio nella cultura Arbëreshë prosegue con la descrizione del documentario “Adriatico. Il mare che unisce” , a opera della giovane regista Cristiana Lucia Grilli.
Il popolo dell’Arberia è una delle tante minoranze etniche e linguistiche presenti sul suolo italiano. Oltre agli albanesi si possono elencare i Ladini, gli Occitani, i Carnici, i Corsi, gli Ebrei, i Friulani, i Grecanici, gli Sloveni, i Curdi, i Mocheni, i Bosniaci, i Francofoni, i Walzer, gli Zingari e molte altre popolazioni stanziate nella Penisola.
La Legislazione italiana tutela le minoranze linguistiche e riconosce dodici comunità storiche parlanti idiomi diversi dalla lingua ufficiale dello Stato: albanesi, catalani, croati, francesi, francoprovenzali, friulani, germanici, greci, ladini, occitani, sardi e sloveni.
L’argomento è fin troppo vasto e articolato per essere esplorato a fondo. Ci sono studi, tesi di laurea, libri, oltre alla possibilità di informarsi agevolmente e adeguatamente in rete e magari, perché no, spingersi fino a visitare questi luoghi sorprendenti come le città di Këmarini, Munxhufuni, Portkanuni, Rùri, giusto per citarne qualcuna in rappresentanza.
Il nostro obiettivo è stato quello di indagare alcuni aspetti del folklore Arbëreshë attraverso il lavoro di tre autori che a loro modo hanno raccontato quest’antica comunità stanziata nell’Italia meridionale e insulare con un linguaggio e una veste moderna: nella prima parte abbiamo intervistato Max Fuschetto e Antonella Pelilli, autori della canzone ‘Si Trendafile – La Rosa’, (liberamente ispirata al canto tradizionale ‘Bilbili’), per la quale Cristiana Lucia Grilli ha realizzato un bellissimo video-clip.
Proseguiamo, dunque, questo percorso tra il sud Italia e i Balcani con le parole e le immagini della regista, sperando di stuzzicare in qualcuno, la stessa di curiosità che ci ha spinti a indagare su questo affascinante particolare del nostro Paese.
“Adriatico. Il mare che unisce” di Cristiana Lucia Grilli
Prodotto interessante “Adriatico. Il mare che unisce” di Cristiana Grilli, docu-film realizzato tra il 2018 e il 2019 con il contributo dell’Assessorato al Turismo della regione Molise. Lungometraggio dal chiaro intento militante, Grilli, che ha origini arbereshe e greche, ha inteso così raccontare la presenza delle minoranze linguistiche in Molise, indagandone origini, varietà, peculiarità, con rigore, e attingendo al contributo e all’esperienza di numerosi esperti. Il film però ha anche un chiaro intento pedagogico, “volevo raccontare che cos’è una minoranza e cosa significa farne parte” dirà nell’intervista rilasciata a FreakOut Magazine.
Quello che ne emerge è un caleidoscopio di linguaggi visivi, volti ed esperienze, dove alle suggestive panoramiche si alternano gli interventi di esperti (tra gli altri il ricercatore dell’Università di Napoli Federico II Francesco Storti, Fernanda Pugliese, direttrice della rivista Kamastra, Maria Luisa Pignoli, ricercatrice dell’Università Cote d’Azur, Walter Breu, slavista e Giovanni Agresti, tra i fondatori di LEM, associazione per le lingue europee del Mediterraneo) e momenti di rievocazione storica attraverso la musica e l’innesto di vere e proprie clip musicali.
Numerosi i cammei di artisti locali (tra gli altri i Kroatarantata) e poi le incusioni di Max Fuschetto e Antonella Pelilli, con la quale Grillo collaborerà in seguito per la realizzazione del suo primo lavoro da regista di videoclip, per la canzone “Si Trendafile”, rifacimento dell’antico canto arbereshe ‘Bilbili’ e Goran Bregovic, inseguito fino a Ginevra per un incontro che la regista definirà “mistico”. “Si perdono le radici, perdiamo noi stessi”, si contraddice il compositore bosniaco davanti al suo bicchiere di Jack Daniels. Lui che si definisce un Frankenstein musicale e che ha fatto della contaminazione e della riproposizione di brani del folk balcanico in chiave pop ed elettropop la sua cifra stilistica.
Un’ultima nota, quella sui croati molisani, che esistono, sono ampiamente studiati e valorizzati dalla Croazia seppur totalmente ignorati da quest’altra parte del mare. Il docu-fim è stato presentato tra gli altri al Festival dei Diritti Umani di Napoli, all’International Human Rights Festival di Tirana e alla kermesse Cinema e Diritti di Salerno.
Come raccontare la ricchezza di una cultura, la sua intrinseca natura contaminante e contaminata allo stesso tempo, e quella sua capacità di trasformarsi e al contempo perdurare? Questi alcuni dei temi centrali del docu-film “Adriatico – Il mare che unisce” di Cristiana Grilli. In questi giorni di isolamento forzato, a causa dell’epidemia da Covid-19, abbiamo raggiunto la regista a casa sua in Molise, via Skype.
Autrice: Michela Aprea
Grazie a Luigi Ferrara per i contributi
– – – Intervista a Cristiana Lucia Grilli – – –
FO: “Adriatico. Il mare che unisce” rivela un’intrinseca natura pedagogica, oltre che divulgativa, è un documentario che parla di minoranze e di come la cultura sia intrinsecamente proteiforme ed è interessante come la sua realizzazione abbia coinciso con forse il momento più basso della storia del Paese in merito ai temi dell’accoglienza e della relazione tra culture differenti. Ci racconti della sua gestazione?
CLG: La mia è stata un’azione mirata. Ho voluto fare un film pedagogico, perché avevo bisogno di raccontare, far capire che cosa sia una minoranza e cosa significa farne parte. Sono numerose le “culture minoritarie” nel paese ma se ne ignora l’esistenza, spesso tra gli stessi corregionali. “Adriatico” nasce da un sentimento profondo: l’autocoscienza del mio vissuto perché io stessa, da parte di mia madre, ho radici nella comunità arbereshe di Portocannone, i discendenti di Scanderberg, albanesi, che centinaia di anni fa si stabilirono su questi territori. Da parte di mio padre, invece sono greca. Mia nonna era scappata in quel paese lasciando la Turchia. I Balcani hanno sempre fatto parte del mio sentire. Alla realizzazione di “Adriatico” mi ha spinto la volontà di raccontare che cosa significa avere una subcultura, tanto ricca, dal valore inestimabile.
FO: Non a caso hai dedicato l’opera ai tuoi nonni…
CLG: Sono partita dalle mie radici. A sintetizzarle la scena iniziale con quel falco che si leva a voler simboleggiare quella ricchezza identitaria che contraddistingue ogni cultura e che però deve sempre spingere ad andare oltre, a guardare le cose da un’altra prospettiva.
FO: Adriatico è ricco di incursioni, momenti musical – poetici, utilizzati come espedienti per raccontare una Volksgeist (visione di un popolo, ndr). Quanto il simbolismo è stato importante nella realizzazione estetica del tuo documentario?
CLG: Molto. L’intento era quello di generare passaggi onirici, creando una continua dialettica tra gli interventi degli esperti e la produzione musicale e culturale dei popoli arbereshe e croato molisani, dando così un’espressione all’evoluzione storica degli eventi, attraverso la riproposizione di un simbolismo che è canonizzato nelle canzoni e nei racconti. Quelle incursioni mi sono servite per raccontare le sfumature, quegli elementi naturalmente scartati dalla storia ufficiale e che però connotano un animo collettivo. La nostalgia, l’attesa, per il proprio uomo partito lontano al fianco di Scanderberg, o per la terra lasciata, sono aspetti che la storia ufficiale non racconta ma che si sedimentano nella memoria collettiva di una comunità.
FO: Come ti sei preparata alla sua realizzazione?
CLG: C’è stato un grande lavoro di ricostruzione, durato quasi un anno e reso possibile grazie al coinvolgimento di accademici, studiosi, musicisti come il professor Storti, storico e ricercatore presso l’università Federico II di Napoli; Giovanni Agresti, linguista, tra i fondatori dell’associazione LEM Italia (Lingue Europee del Mediterraneo); Walter Breu, albanologo e slavista. Avevo dei riferimenti sul territorio, come ad esempio il professor Piccoli che aveva accolto la presidente croata (Kolinda Grabar-Kitarovi, ndr) venuta in visita nelle comunità molisane proprio un mese prima dell’inizio delle riprese. La Croazia conserva un forte legame con le comunità presenti sul nostro territorio e quella croata molisana è una varietà che è studiata nelle loro scuole. Più complicato, nonostante in parte ne condividessi le origini, è stato entrare in contatto con la comunità arbereshe che invece non ha questa caratteristica di immediata accoglienza. Un ruolo molto importante lo ha avuto anche Maurizio del Bufalo, coordinatore del Festival dei Diritti Umani di Napoli, che ha patrocinato il lavoro.
FO: È interessante questo aspetto di diversità tra le due comunità che riveli anche perché nel documentario questo rapporto identitario di “apertura” e “chiusura” appare ribaltato: la cultura arbereshe a differenza di quella croata molisana è nota oltre i confini regionali nelle sue caratteristiche (di tradizione musicale, gastronomica, artigianale) apparendo pertanto più aperta di quella croata e anche nel rapporto con la patria di origine essi dimostrano un legame con la storia e le tradizioni albanesi molto più forte di quanto espresso nel film dai croati…
CLG: In Italia gli slavi molisani sono pressoché sconosciuti, mentre all’estero sono una realtà conosciuta. Piuttosto famosa, direi. Periodicamente il premier croato è in visita presso le comunità presenti sul territorio. Vi do una notizia: non solo il Molise esiste ma anche gli slavi molisani esistono! Diverso è il rapporto degli arbereshe che non gode di questo interesse da parte della terra d’origine.
FO: Il tuo docufilm ingloba linguaggi differenti: quelli della valorizzazione del territorio, di marketing territoriale verrebbe da dire, in qualche modo incarnato dalle numerose panoramiche ottenute attraverso il ricorso ad un drone; quello più immaginifico e poetico, usato per raccontare le radici e la cultura delle due comunità e quello più strettamente documentaristico, a cui hai fatto ricorso per gli interventi degli esperti. Ci racconti dell’apporto della Regione Molise alla sua realizzazione?
CLG: La regione è coinvolta anche se non ha fatto nulla per promuovere il film. Non abbiamo un circuito e un sistema di valorizzazione delle nostre produzioni cinematografiche e neanche una legge regionali e fondi. In Albania ci sono andata grazie al cinema e del Bufalo. Abbiamo proiettato al consolato a Valona e al Festival International Human Rights di Tirana grazie al sui supporto.
FO: Con l’oboista Max Fuschetto che vediamo in Adriatico, insieme alla cantante Antonella Pelilli, avete collaborato alla realizzazione del videoclip del brano “Si Trendafile”. Ci racconti com’è nato il vostro solidalizio?
CLG: Con Max è stata sintonia pura da subito. L’abbiamo conosciuto grazie ad Antonella. Si è dimostrato immediatamente super disponibile: in un giorno è venuto dalla Campania al Molise soltanto per registrare la sequenza live. Siamo entrati subito nella stessa lunghezza d’onda e ogni sequenza, ogni ciak è stato con lui perfetto. Questo accade solo quando lavori con persone che hanno la piena padronanza dei propri strumenti. Anche con ‘Si Trendafile’, da unantico canto arbereshe Bilbil, la sensazione è stata di totale armonia come se le note di Max si consolidassero nel nostro immaginario e viceversa.
FO: “Si Trendafile” è stata la tua prima esperienza nella produzione di videoclip musicali…
CLG: Sì, ma avrei sempre voluto cimentarmi nella produzione di video musicali, cosa che tra l’altro con il nostro studio di produzione video ora abbiamo implementato, abbiamo ricevuto numerose richieste.
FO: Parliamo di produzione. Com’è stato possibile finanziare questo documentario?
CLG: Ci siamo autofinanziati per tutto il film, se non per una piccola quota messa in campo dalla Regione.
FO: E l’incontro con Goran Bregovic?
CLG: Anche lì. Abbiamo fatto tutto da soli. Ho contatto il manager che mi ha dato come date disponibili quella di Parigi, Ginevra e un’altra città di cui ora non ricordo. Siamo andati a Ginevra. Abbiamo assistito al concerto e poi con l’attrezzatura siamo entrati e l’abbiamo intervistato in seguito, nel suo camerino. Goran era lì, col suo bicchiere di Jack Daniels, ed è stata una sensazione mistica. Ascolto Bregovic dalla tenera età, e la mia adolescenza è stata contrassegnata dalla sua musica e dal sodalizio con Emir Kusturica. Ha esordito, sorseggiando un po’ del suo whisky e dicendo “Ah, alcol! Ci vuole sempre un po’ d’alcol per cominciare bene!”. Un momento che non dimenticherò mai. La sua testimonianza per me era fondamentale perché lui incarna perfettamente il mio concetto di contaminazione culturale. In un momento della nostra intervista ha affermato “Io sono un Frankestein musicale”, che rappresenta concretamente il concetto che volevo esprimere.
FO: Come vi siete organizzati per la promozione?
CLG: Oltre a Napoli (Festival del Cinema dei Diritti Umani) e in Albania (International Human Rights Festival) siamo riusciti a presentare “Adriatico” al festival Cinema e Diritti di Salerno. Con Maurizio del Bufalo avevamo in programma di presentarlo in numerose altre kermesse ed eventi, ma l’emergenza Covid-19 ha bloccato tutto. Tra l’altro avevamo in programma una proiezione in un paesino arbereshe in Calabria ma abbiamo dovuto annullare. Vediamo. Vediamo come si evolve.
FO: Idee per il futuro?
CLG: Sono ancora in fase di elaborazione. Ma sto pensando ad un film collettivo, che sia una sorta di diario condiviso della quarantena coinvolgendo persone da tutto il mondo. Però non dico di più.