Non c’è molto che si possa raccontare di nuovo quando una band degli anni ’80 e ’90 produce in pieno terzo millennio un nuovo album. Nel caso dei Pet Shop Boys, quest’ultimo Hotspot, uscito a marzo, distribuito dall’etichetta da loro stessi fondata, la X2, costituisce però una interessante eccezione per qualche fondato motivo. Anzitutto, Hotspot è il terzo, e pare ultimo, capitolo, dei dischi dei Pet Shop Boys prodotti da Stuart Price (Killers, Starsailor, New Order, Seal, tra gli altri), dopo Electric e Super, e inoltre è stato registrato nei mitici Hansa Tonstudio di Berlino, quelli di Bowie e Lou Reed dei tempi d’oro, per capirci.
La registrazione del disco a Berlino non è solo un dato di colore: tutto l’album è un omaggio alla città, da quello esplicito di Wedding in Berlin a quello più testuale di Will of the Wisp, in cui Tennant canta del piacere di attraversare con la U1 diversi quartieri della città. E proprio Will of the Wisp, prima traccia del disco, rappresenta anche un ulteriore elemento di interesse, perché è un pezzo in pieno stile synth pop da terzo millennio. Dimenticatevi insomma le grandi hit storiche della band, da Domino Dancing a It’s A Sin, o Go West o Always in my Mind: qui i Pet Shop Boys cercano sonorità meno eclatanti e retoriche, meno da coro da stadio, e magari più sfumature e musica “lavorata”. Will of the Wisp ne é il migliore esempio, ma anche Dreamland, realizzata insieme agli Years and Years di Olly Alexander (una sorta di consegna di testimone fra due generazioni synth pop) rappresenta bene questa scelta di stile. Only the Dark, You Are the One e Hoping for A Miracle sono invece tre lenti: ma se la prima e la seconda sono in perfetto stile anni ’80 (quasi sospese nel tempo, e però proprio per questo francamente meno interessanti, in quanto doppioni di tanti pezzi degli album classici del duo), la terza è un altro dei pezzi degni di nota di questo disco, soprattutto per l’intro dolce ma malinconica della tastiera. I Don’t Wanna, Happy People e Monkey Business divideranno invece i fan: sono canzoni piuttosto grezze, esplicitamente dance, ma nello stile più casareccio-commerciale tra quelle della quasi quarantennale produzione del due Lowe-Tennant:, e però proprio come canzoni dance possono acquisire un qualche punto per questo disco. Burning the Heather, intestata a una tradizione tutta inglese di bruciare l’edera per segnare il passaggio da una stagione all’altra, è invece a conclusione del disco un altro pezzo interessante soprattutto per la forte presenza delle chitarre acustiche, ben poco comuni nella discografia della band.
Wedding in Berlin infine è la festosa, un po’ pacchiana, conclusione, con un pezzo da riempipista a cui si aggiunge anche la marcia nuziale volutamente campionata nel mezzo del ritornello.
Alla fine, Hotspot è ovviamente un disco che non potrà segnare la carriera, già ormai più che eclatante, di questo duo da record, ma è un disco ben fatto, non una sterile ripetizione di suoni già sentiti, ed è un disco maturo, dove Lowe e Tennant si permettono (come solo i più grandi e famosi possono fare) di fare esattamente ciò che vogliono e divertirsi, e siccome sono bravi nel loro genere (purtuttavia non i migliori, come qualcuno sostiene e come i loro record di vendita sembrano dimostrare) lo fanno anche bene e gustosamente per le orecchie degli ascoltatori. Purché non si pretenda dal synth pop di voler essere musica elettronica sperimentale.
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autore: Francesco Postiglione