A tre anni dall’ottimo “The Underside Of Power” i georgiani Algiers fanno un altro centro con questo “There is no year”, registrato nel corso dell’ultimo anno a New York e prodotto da Randall Dunn (Sunn O)))) e da Ben Greenberg (Zs, Uniform). La loro formula musicale si è ulteriormente evoluta verso un’entusiasmante e intrigante intreccio tra le due matrici del soul-gospel e del post-punk, con tanta elettronica in mezzo.
Caratterizzato da testi politicamente impegnati, che più che altro trattano l’insofferenza verso l’oppressione del capitalismo, i quattro musicisti, vuoi a causa della crisi economica di dodici anni fa, vuoi per avere un presidente come Donald Trump; hanno recuperato l’essenza del combat rock militante che ha le sue radici in quel blues che, attraverso tante metafore, cantava proprio l’insofferenza verso una delle peggiori perversioni del capitalismo: lo schiavismo.
Con il dilagare della gig economy e il ritorno di ‘moderne’ forme di schiavismo succede che questo lavoro capita al momento giusto, anche perché è dai tempi dei Rage Against The Machine che si sentiva l’esigenza di colmare questa carenza da revolution rock. I brani sono strutturati attorno ad una base elettronica su cui il polistrumentistama, e cantante, Franklin James Fisher alterna tonalità aggressive ad altre meditative. Questa differenziazione rispecchia anche quella del ritmo dei brani. Da un lato, infatti, abbiamo la vibrante electro-combat-rock della title-track, il soul-rock con un’entusiasmante base d’n’b di “Unoccupied”, il possente rock-soul vibrante di “Dispossession”, l’electro-rock misurato di “Chaka” e la martellante, intensa e complessa “Repeating night”. Dall’altra “Waiting for the sound”, dove sembra di ascoltare dei Living Color in versione dub, il soul-gospel di “Losing is ours” e la scandita “We can’t be found”. Anche se siamo all’inizio del 2020, posso già dire che questo disco farà parte della mia playlist di quest’anno.
autore: Vittorio Lannutti