La band di Graham Lewis e Colin Newman non vuole arrendersi ai tempi: in attivo sin dal 1976, dopo due lunghe pause segnate da rotture, abbandoni, litigi e progetti paralleli (la prima dal 1979 al 1987, la seconda dal 1991 al 2000) dal 2011 continua a infilare dischi ogni due anni, e tutti interessanti (il precedente, Silver/lead, del 2017, è stato recensito da The Guardian come “una delle cose migliori mai fatte da loro”).
Definiti da Quietus come “una delle più importanti band inglesi di tutti i tempi”, i Wire sono la band di successo e di stile underground di nicchia per eccellenza.
Nati col punk, si sono infatti ritagliati uno spazio tutto loro nel post-punk e nell’underground, e anche questo ultimo disco, Mind Hive, è permeato di questo stile così loro caratteristico.
Si percepisce molta continuità con i lavori del passato, non a caso la track di apertura, Be Like Them, recupera addirittura un testo del 1977. L’atmosfera è da Nine Inch Nails, e il tono cupo e teso è la migliore introduzione possibile al disco, mentre Cactused rivela un ritmo e un ritornello pop-rock in cui la voce di Lewis prova un cantato alla David Byrne. Off the Beach e Primed and Ready continuano sulla scia pop-rock elettrico, ma Prime and Ready poi “si arrabbia” nel finale.
Unrepentant è una sorprendente pausa acustica nel ritmo abbastanza serrato e muscolare delle chitarre fin qui sentito, e annuncia in sostanza la svolta dell’album a metà scorrimento tracce: Shadows infatti è un momento di pura sospensione musicale, una ballata suggestiva e profonda di poco più di due minuti, lenta e sinuosa, da respiro quasi post-rock.
Oklahoma, un altro pezzo interessantissimo, ritorna al cupo e oscuro, inizia con un violoncello elettrico su cui il vocale esordisce con un grido che annuncia l’esplodere di chitarre e tastiere su cui si insinua la voce dark di Lewis. Un pezzo teso, drammatico e tirato, molto lontano dal puro punk con cui sembrava iniziato il disco.
Lo stile è cambiato, l’album si è fatto più denso, più musicalmente intrigante, ed ecco arrivare Hung, una traccia di 8 minuti che riavvicina i Wire a sonorità stile Nine Inch Nails, piene di elettronica, loop, distorsioni, con un cantato onirico e ipnotico. Hung è certamente il pezzo più significativo del disco, un vero capolavoro che si distende lungo diverse sezioni musicali.
Il crescendo offerto dal disco a partire da Unrepentant si conclude con Humming, un cantato senza batteria, intessuto solo di tastiere e toni di chitarra, in pieno stile Gabriel.
Nel complesso un disco di poco più di 35 minuti, con sole nove tracce, ma compatto, denso, e coeso. Si sente che i Wire sono in forma, e non a caso nella serie di pubblicazioni ogni due anni dal 2011 ad oggi sono riusciti a inserire anche la reissue dei loro primi tre dischi, Pink Flag, Chairs Missing and 154. Ed è in dirittura d’arrivo il progetto di un docu-film, People in a Film previsto per la fine di quest’anno. I fan hanno di che stare tranquilli: nonostante i superati quarant’anni di attività, i Wire sono ancora a intessere i loro tesissimi fili musicali del post-punk.
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autrice: Francesco Postiglione