Secondo capitolo per il progetto solista di Ferruccio Quercetti, chitarrista/cantante dei CUT, il miglior gruppo italiano di garage/noise/blues/rock’n’roll. Il disco parte dove era terminato l’altro, vale a dire con un frammento di “Almost mine”, ma le ambientazioni in questo nuovo lavoro sono meno cupe di quello precedente e Quercetti si lascia andare a sonorità più rock’n’roll e con un maggiore piglio blues. Quasi inesistenti le arie new wave che caratterizzavano il precedente, mentre le dodici battute e il rock primordiale sono presenti in quasi tutte le dodici tracce di questo nuovo. Molti gli ospiti: Segio Carlini (Three Second Kiss) e Andrea Rovacchi (Julie’s Haircut). In alcuni momenti sembra di ascoltare il primo lavoro degli Heavy Trash (“Early bird”, “You and your new lover”). Intrigante “(You could have been Mr) Joan Jett”, che parte scarna, ma poi si intensifica e cresce fino a diventare un funky-jazz per poi tornare ad un rock’n’roll privo di fronzoli. Quercetti sembra ansioso di recuperare l’essenza primordiale del rock, per cui se “How I died in Brussels” è un funky scoppiettante che va a braccetto con il pop-punk di matrice britannica, ”One man’s heaven is another man’s hell” è un eccitantissimo p-funk scandito ed essenziale che si scorna con la successiva “That time of the yera”, un counry-blues intimo, opportunamente messa prima dell’arpeggiata “Free to love”. Insomma un lavoro necessario, perché riempie e apre il cuore come pochi dischi oggi sono in grado di fare.
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autore: Vittorio Lannutti