Ho sentito testimonianze di artisti che ambiscono a scrivere un concept-album ma, spesso, desistono dal progetto poiché non ricavano abbastanza materiale che leghi il trait-d’union argomentativo. Invece, l’umbro-catalano Olden (Davide Sellari) ci è riuscito (e bene!) col quinto album, “Prima che sia tardi”.
Al centro delle 10 tracks c’è Zahira, un’emigrata errante che si ritrova nel pieno di feroci tirannie, tese ad additare la fazione “strana”, quella insolita, destinata ed internata nel Quartiere del Lavoro. Il pregio di Olden, è quello di tenere l’orecchio e l’interpretazione dei brani sempre borderline: in bilico tra buio pesto e speranze fluorescenti e, similarmente ad un autore di gialli, svela dettagli risolutivi solo in dirittura d’arrivo. Il prologo dell’album, si poggia sull’accorata titletrack, che Olden fa vibrare con frustate vocali e pertinente allarmismo per il “day-after” prossimo a venire, mentre la funerea “Il giorno della gloria” declama strali dittatoriali dell’oratore Supremo che istiga la folla, inducendola ad abbracciare la dicotomia tra allineati e diversi, nella quale la protagonista Zahira viene vessata con gesti e parole umilianti, per il solo fatto di essere figlia di forzati emigranti: sicuramente, la traccia più politicizzata che suona come un preoccupante campanello d’allarme verso qualsiasi divisione. Le tensioni di piazza passano la mano alla suggestiva quiete pianistica del singolo “L’Aquilone”, ma sempre con dettagli drammatici, nei quali si cercano appigli di resilienza contro le angherie di Potere, ricorrendo alla coriacea libertà insita nell’Amore ma, dietro l’angolo, imperversa L’ “Oca nera”, bestia perfida, efferata, pronta a cannibalizzare ribelli ed esseri riluttanti l’ordine preposto, con un’impietosa marcetta dark-circense che affoga nell’angoscia. Il “Mare tranquillo” e “Non tu, noi” restituiscono umanità alle vicissitudini della storia con apprezzabili tessuti pop-song, smorzando le tensioni di una protagonista che non può permettersi di staccare mai lo sguardo dalla trincea : fissa condizione di un cuore perennemente sofferente ma sempre anelante di un ago di luce all’orizzonte. A forza di (R)esistere, tira aria che la tirannia sia ai titoli di coda, palesemente deducibile nel placido assetto di “Cuore mio”: altro bivio cruciale per unire le forze e sferrare il decisivo (e riuscito) attacco di massa, che sfocia (finalmente!) nella capitolazione del capo-regime, divenuto ormai ridicolo e triste come “Il clown” , con il conseguente sollievo di popolo tanto caldeggiato ed atteso , in primis, da Zahira. La Liberazione definitiva arriva “Puntuale” con giubilo nazionale ed apoteosi distensiva: timori scomparsi, ritorno al sorriso e dell’Oca Nera neanche più l’ombra: un pregiato e variegato epilogo di otto minuti espresso tra minimalità iniziale, incedere serrato in itinere ed una raffinata coda cantautorale. Si segnala (nella versione vinilica), la bonus-track “Fiume amaro” : altra chicca sonora che ospita la distinguibile voce di Umberto Maria Giardini (ex Moltheni), dal quale Olden ha tratto, quasi certamente, ispirazione in qualche episodio. Tout court: un’opera più che lodevole, che lancia riflessioni non di poco conto, invitando ad obliare presto, tutto ciò che è prepotenza, prevaricazione e spregevole divisione: prima che sia troppo tardi…
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autore: Max Casali