È online “Storia di Loletta”, il video che anticipa Alone Vol III, terzo capitolo del “disco perpetuo” di Gianni Maroccolo in uscita il 17 dicembre per Contempo Records.
Realizzato come sempre da Michele Bernardi con la tecnica del cut out digitale 2D partendo dalle illustrazioni di Marco Cazzato, il video interpreta le molteplici suggestioni sonore del brano – prima traccia dell’album in uscita che ne condensa l’intero pensiero – e aiuta a posare uno sguardo obliquo sulla musica e sulle tematiche che l’hanno ispirata. Una vera e propria “colonna visuale”, dove sono le immagini a venire guidate dal suono, all’opposto di quanto accade nella tradizione cinematografica della “colonna sonora”.
Il titolo del brano si ispira a un testo di Nina Maroccolo, sorella di Gianni, “Non possiedo nome eppure m’invadono tutti”, scritto in occasione del disco e recitato in alcuni momenti al suo interno da Luca Swanz Andriolo.
Come per le clip dei due volumi precedenti, “L’altrove” in Alone I (Guardalo qui e “The Abyss” in Alone II,(Guardalo qui), il video di animazione si ispira all’animale simbolo del disco: in questo Volume III si tratta della libellula.
Un insetto, simbolo di equilibrio, pace e libertà, che si muove elegantemente sopra la palude, suo habitat naturale nonché culla delle sue umili origini. Il suo rimanere al di sopra del pelo dell’acqua, quasi distaccata dal mondo, ha un significato importante: considerato che il tema ispiratore di questo terzo capitolo discografico è la violenza sui più deboli (in particolare le donne e i bambini), la libellula diventa simbolo di riscatto. Una dichiarazione di speranza che si può leggere in due modi: da un lato, che le vittime della violenza possono rendersi libere – anche se non senza sforzo; dall’altro, che chi perpetra quella violenza sui deboli può innalzarsi dal proprio fango morale e liberarsi a sua volta.
La storia di Loletta è questo: un viaggio iniziatico attraverso il tempo umano, irto di simboli e sorprese, che la porterà a diventare un essere in grado di trascendere la palude in cui ci dibattiamo.
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fonte: com. stampa
foto: Massimo Tuzio