Dopo un paio d’anni da “The witch”, tornano in scena i londinesi Pumarosa con gli undici pezzi di “Devastation“, dimostrando la voglia di ri-mischiare le carte dello psyco-pop e post-punk con quelle più convincenti giocate su andazzi drum&bass, synth ed ambient. Un’elettronica Vancouveriana in stile Devo introduce il singolo “Fall apart“, sorretto da mood sospensivo in parte orrorifico. Anche “See you” incute magnetismo, non solo per il sound, ma anche con la suggestiva clip che ritrae forme d’arte dilatate. Più disidratata, “I can change” cala una ritmica asfittica totalmente avvolgente, mentre “Factory” è un tetro requiem in bella vista, con impulsi paranoici: Il paradiso non può attendere ed infatti “Heaven” entra in campo col suo carisma esecutivo ed un respiro emotivo che sparge nei meandri di loops ipnotici. L’urbanizzazione assemblativa si perfeziona nel tessuto di “Virtue“, che sfoggia scheletrico drum&bass alquanto attrattivo e dimostra come alla band basti molto poco per assicurarsi risultati accattivanti. Un velo di tribalismo sintetico non guasta, invece, nel corpo di “Into the woods“, per poi seminare nel bosco strutturale amenità mesmerizzanti, tra pruriti elettronici e fascinose finezze strumentali. L’eterea “Lost in her” è un’elegante calamita uditiva che non vorresti mai skippare per nessun motivo nè, tantomeno, stoppare anche se squilla il cellulare per una chiamata importante. E, come una vanitosa diva che si fa attendere, finalmente arriva la titletrack, col suo charme galante e prepotente al contempo, in un vortice d’irrequietezza pervasivamente godibile. Poco male se i Pumarosa hanno virato più sull’elettronica rispetto allo psyco-pop del passato ma, di certo, col pregiato tocco del poducer John Congleton, tutto risulta una alchimia centrata, in quanto non solo importa il suo pregiato respiro Losangeliano ma lo innesta nel gruppo con allestimenti che lasciano il segno, in un disco che saprà imporsi per stilismo e raffinata identità.
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autore. Max Casali