Un esordio. Un punto d’arrivo. Così Justin Vernon, a nome Bon Iver, dà nel 2007 alle stampe “For Emma, Forever Ago”, piccolo compiuto disco di folk revival. Un punto di partenza e, al contempo, un punto d’arrivo. Il rischio è di non ripetersi o di “ripetersi” in cloni da sbiadita cartacarbone.
E così, abbandonati i sentieri e gli echi che da Neil Young conducono ai Belle And Sebastian, passando per gli Okkervil River, i The Magnetic Fields, di Iron & Wine … Vernon si modernizza, cambia veste, si scompone di elettricità e si reinventa, compiendo, passo dopo passo, mutamenti continui sempre più intessuti di elettrificazione e tessiture da contemporanea cibernetica tela.
E se con “22, A Million” (Jagajuwar, 2016), i Bon Iver salpano verso un arrangiamenti glitch, campionamenti, noise, deformazioni canore, con “i,i” viene compiuto un ulteriore passo, affinando e ampliando quanto già pensato ed espresso con il disco precedente.
Sicuramente a un ascoltatore anche poco attento, senza leggere le note di copertine di “i,i”, non può non sorgere il dubbio che Vernon stia (e abbia) intrapreso una sorta di sodalizio artistico con James Blake, tanto da rendere quasi confusa e sovrapposta la percezione d’ascolto con l’estro del musicista inglese (ricordo ancora il suo fulminate esordio del 2011).
Se da un lato questa acquisita caratteristica dona a “i,i” un’indubbia qualità artistico compositiva negli arrangiamenti, nello studio dei pezzi e nell’identità di gruppo, nonché un esatta contemporaneità, dall’altro perplime nella ricerca di un’originalità assoluta mancata e non trovata, se non nella sintesi (più pop) di generi a galla tra le vecchie reminiscenze e melodie folk e le attuali sperimentazioni.
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autore: Marco Sica