Se il bisogno è la madre delle invenzioni, la necessità di sperimentare è un bisogno fatto dovere per l’artista. È una pulsione interna che genera lo scorrimento eterno del divenire, della mutazione che fonda ogni evoluzione, senza soluzione di continuità.
È l’unico vero eterno di cui si è persa la memoria, l’“olam” biblico di cui non si conosce né l’inizio né si può immaginare la fine.
E di questo verbo sì è fatto, da oltre mezzo secolo, carne l’inglese Fred Frith, quale vate della libera improvvisazione e della musica sperimentale, che il 29 marzo, presso le sale dell’Asilo (ex Asilo Filangieri), si esibirà per la prima volta in concerto a Napoli in esclusiva nazionale.
Proveniente dalla celebre scuola di Canterbury, Frith è uno dei fondatori degli Henry Cow, con i quali ha dato alle stampe, tra il 1973 e il 1975, quattro dischi seminali, potenzialmente associabili in coppie di due: Leg End (1973), radicato nelle sonorità sospese tra il jazz-rock dei Soft Machine, le abrasioni a sei corde di Robert Fripp e le aperture da big band del periodo “jazz” di Frank Zappa e Unrest (1974), in cui gli Henry Cow esasperano il lato impro già presente in Leg End e Frith inizia a “definire” con sempre più personalità il suo stile chitarristico.
Il 1975 è un anno di svolta e inaugura la seconda stagione degli Henry Cow.
Frith e gli Henry Cow sono, infatti, anche portavoce del “Rock In Opposition“, un movimento politico musicale a favore dell’autogestione (formalmente nato nel 1978).
La loro fedeltà alla linea e integrità ideologica mal si sposava alle dinamiche economiche e commerciali del tempo (non si era più sul finire degli anni ‘60 e l’elefantiaca macchina commerciale del mondo musicale si era nuovamente messa in moto) e quindi gli Henry Cow furono costretti ad un operazione “societaria” per salvare i “bilanci” fondendosi con gli anglo/tedeschi Slapp Happy, gruppo nato dalla chitarra di Anthony Moore per accompagnare i lieder Brechtiani di sua moglie, la tedesca Dagmar Krause.
La collaborazione tra i due ensemble, grazie anche alla spiccata vocazione teatrale degli Slapp Happy, generò un nuovo spazio artistico musicale trasversale e poliedrico che, dopo un esplorativo Desperate Straights (1974), diede alle stampe il capolavoro In Praise Of Learning (1975), miscellanea, in un abbattimento di generi, di musica e “teatro” sospesa tra espressionismo, improvvisazione, elettronica (Moore è vicino al kraut tedesco), rock-cabaret e avanguardia (Lindsay Cooper si dedica a manipolare oboi e fagotti mentre Frith suona anche il violino e lo xilofono), perfettamente sintetizzati nella splendida Beautiful As The Moon Terrible As An Army, brano che è anche l’apertura del tombale live Concerts (1976), registrato in parte in Italia (Ruins il 13 ottobre del 1975 a Udine) e che vede la partecipazione di Robert Wyatt.
Come per ogni buon frutto, dopo la maturazione ci sta l’inevitabile appassimento e gli Henry Cow/Slapp Happy si spaccano, e dai semi di Frith, Krause e Cutler prendono vita agli Art Bears, uno tra gli esempi più radicali della scuola di Canterbury, carichi di dissonanze e atonalità, permeate da un senso di lugubre e rarefatta tensione, con all’attivo tre dischi di ottimo livello collocabili su di una parabola ascendente e discendente: Hopes And Fears (1978), Winter Songs (1979), il loro apice in cui Frith si distingue per le parti di organo e il più dimesso e scolastico The World As It Is Today (1981).
E così, mentre si compivano le suggestioni musicali/teatrali di In Praise Of Learning e le lugubrazioni degli Art Bears, Fred Frith si trasferisce a New York dove inizia a frequentare l’ambiente culturale statunitense e a partorire i suoi primi lavori solisti, sperimentazioni per chitarra (raccolte sulle compilation Guitar Solos) oltre a due collaborazioni con Henry Kaiser: With Friends Like These (1979) e Who Needs Enemies (1983), oltre al classico Killing Time del 1981, a firma Massacre, con bassista Bill Laswell e il batterista Bill Maher.
Questa nuova stagione sperimentale culmina con i suoi due migliori dischi “solisti” (senza un gruppo fisso): Gravity (1980), segnato da bizzarre e frammentarie miniature post-moderne e Speechless (1980), probabilmente il punto più alto della sua carriera; un lavoro che va oltre ogni definizione e che confonde in un collage, stralci di musica concreta, popolare, d’ambiente, avanguardia, noise e da musica strada. Un disco strumentale in cui Frith suona pochissimo dedicandosi prevalentemente alla regia e alla cura del tutto. Basti ascoltare i sette minuti della “totale” Laughing Matter/ Experanza, mini suite in cui si susseguono voci di strada, vaudeville, melodie per fisarmonica e harmonium, dissonanze, fratture progressive, noise, avanguardia classica, suoni di cornamuse, fiati, echi di musiche indiane e manipolazioni sonore.
autore: Marco Sica