Cambio di line up per la band guidata da David Eugene Edwards, e in parte è cambiato anche il sound. È tornato in Francia Pascal Humbert e sono entrati nel gruppo Chuck French e Gregory Garcia. Questo cambio ha dato un’impronta più potente con un sound saturo che ci riconduce all’ottimo lavoro fatto al mixer di Alexander Hecke degli Einstürzende Neubauten.
“The laughing stalk” è il disco più rock degli Woven hand, caratterizzato da un ritmo spesso serrato che fa da contraltare a testi che mantengono un’indole mistica. Questa contraddizione rende il disco più intrigante ed affascinante, a partire da “Long horn” dove il rock-blues si incrocia con i ritmi tribali.
È vero che Edwards non è nuovo a queste commistioni ma in questo caso il risultato finale è molto affascinante. La title-track è intrisa da chitarre bluesate, accostabili a quelle dei Gun Club. La cavalcata di “In the temple” è spiazzante perché evoca una strana fusione i cui gli ingredienti principali sono gli U2 ‘ascoltabili’ e i Godspeed You! Black Emperor.
Stoner rock e il Nick Cave più incisivo convivono nell’ inquietante “King o king” e sono affascinanti e coinvolgenti le chitarre di “As wool”, dove la batteria ha un gran tiro. Spiazzanti sono “Closer”, che vira verso l’industrial, e “Maize.
Il finale è dedicato a “Glistening black”, l’unico brano che presenta delle aperture tali da rendere il disco dialettico.
autore: Vittorio Lannutti