Terzo disco per Rayland Baxter, figlio d’arte, musicista alt country e indie rock di Nashville le cui canzoni vivaci e dalle melodie beatlesiane trascinanti rimandano ad un immaginario pop molto ricco, tra l’altro in questa specifica circostanza particolarmente ispirate, convinte, guidate da una scrittura efficace e buone per un balzo internazionale di popolarità.
Brani elettroacustici tra Steven Wilson, Elliott Smith, Richard Swift e Conor Oberst con violino, pianoforte e cori a sostenere una formazione rock chitarristica ed un effetto sostanzialmente tradizionale che guarda al folk rock dei 70, al britpop dei 90, talvolta al folk nashvilliano dei 50 con slide guitar per cowboys al tramonto o torrenziali jam psichedeliche tipo Grateful Dead, ma soprattutto quasi sempre intercetta ritornelli vincenti, come in ‘Amelia Baker‘, ’79 Shiny Revolvers‘ ed ‘Angeline‘, ed è qui che il disco riesce a distinguersi dalla media: nella componente autorale. Se considerate infatti calligrafica e revivalista roba di notevole successo tipo Mumford & Sons, – come darvi torto… – beh Rayland Baxter in effetti dimostra una marcia in più non in quanto più moderno o innovativo – non lo è, in effetti… – ma perché rimescolando le carte secondo l’esigenza del brano e curando molto la scrittura riesce a mantiersi imprevedibile.
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autore: Fausto Turi