autore: Francesco Postiglione
Ecco qualcosa di nuovo nel panorama musicale italiano che di novità a dir vero ne sforna ma quasi sempre intorno ai soliti generi.
Con Revado i Reverie, band milanese nata da un progetto di Valerio Vado (chitarre, mandolino, oud, tastiere, bass pedals) e composta da Fanny Fortunati (voce solista, percussioni), Francesco Spiga (flauti, mandolino, tastiere, percussioni, voce), Alberto Sozzi (clarinetto, fiati, synth sax, tastiere, banjo, percussioni, didjeridoo), Daniele Defranchis (chitarre, santur guitar, saz turco) regalano davvero qualcosa di inedito per l’ascoltatore italiano medio.
Si tratta di un genere di difficile definizione, che la band stessa chiama ethno-progressive, ma che si potrebbe anche definire gitan-rock o folk psichedelico, e che comunque ha nella sua natura una vocazione nomade, attenta alle radici della musica antica europea e mediterranea, rivisitate in chiave moderna, attraverso per esempio incursioni di chitarre elettriche o di tastiere.
Rivivono sonorità legate alle tradizioni gitane e popolari, grazie al sapiente impiego, tutt’altro che banale, di strumenti ricercati come fiati, banjo, mandolino, violoncello, saz turco, percussioni, insieme con interventi puramente elettronici di chitarre o di synth.
Già al primo ascolto si possono trovare assonanze con alcuni autori classici, ma non si andrebbe oltre gli anni ’70 (Mike Oldfield, Jethro Tull, primi Genesis, il side work dei Led Zeppelin), segno che la musica dei Reverie è ben lontana dai gusti che vanno per la maggiore.
Ma la vera novità non si esaurisce nella musicalità, anzi; questa è solo la premessa per introdurre l’ “effetto speciale” a cui i Reverie ammiccano, che è quello di suonare e cantare in esperanto, la lingua dalla vocazione internazionalista pura, dopo aver provato, in passate esperienze musicali, sperimentazioni linguistiche (dialetto friulano) ed esplorazioni letterarie (Pasolini e altri poeti friulani dell’800), e dopo l’esordio impegnativo con Shakespeare, la donna, il sogno, (2008 – sonetti shakespeariani cantati nell’inglese dell’epoca).
C’è insomma un vero e proprio progetto culturale intorno alla produzione dei Reverie, per il quale merita una menzione l’autore dei testi, Andrea Fontana, che si occupa anche della direzione musicale e organizzativa, sorta di art-director dietro le quinte del lavoro della band.
Revado, (che in esperanto vuol dire “fantasia”, sognare ad occhi aperti) in particolare, è il primo album esperantista della band: la scelta di questa lingua ha permesso a questo disco di ottenere ottime recensioni in Francia (Harmonie Magazine), in Belgio (Psychedelic Folk Review), in Gran Bretagna (musicspotlight), nonché in Italia (raiRadio1, Radio Popolare), probabilmente anche grazie alla solidarietà della comunità internazionale esperantista, che conta solo in Europa migliaia di membri.
La lingua per definizione più democratica di tutte, lingua dei popoli e delle culture, si sposa così con una musica che cerca fortemente il contatto con la tradizione e la natura: i testi parlano di viaggio, di deserti, di sabbia e vento, di solitudine e di condivisione pura, di carovane e accampamenti (Il mercante del deserto), ma anche di vere e proprie questioni filosofiche come la Fine (Quando verrà La Fine) o il conflitto fra Libertà e Necessità (il Fango e la Luce, di ispirazione quasi spinoziana), ma guardano anche alla guerra e alla sopravvivenza (Ragazzi Millenari), senza ovviamente dimenticare i temi fondamentali della tradizione gitano-popolare, ovvero il mare e la strada (Oceano, Danza del Mare, Via della Seta).
Su tutti questi temi la musica dei Reverie e la voce femminile evocativa di Fanny Fortunati intrecciano melodie e arie di grande respiro, che riescono a muoversi fra chitarre psichedeliche alla Gilmour e passaggi puramente popolari alla Bregovic.
Un prodotto completo e complesso, dunque, che è anche ben confezionato, considerando che il cd è doppio (cantato sia in italiano che in esperanto) e i testi sono riportati in tre lingue (esperanto, italiano, inglese): un inno alla musica di ogni luogo e di ogni tempo, un inno al viaggio, all’esplorazione, alla unità fondamentale degli esseri umani di ogni razza intorno a temi fondamentali e perenni. Una vera chicca musicale che è anche qualcosa di più: un’occasione per riflettere e per esplorare i valori di un’utopia, quella esperantista, sempre più attuale man mano che il mondo si fa globale intorno a falsi totem.
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