Mi è venuta voglia di vedere il videoclip inserito nel singolo degli storici Conflict – che strombazza un titolo inequivocabile – proprio alla vigilia di Natale.
Dopo la costruttiva visione fatta di carligiuliani trucidati e molotov-stelle comete che svolazzano ellittiche, incandescenti del “punch” punk rock socialmente attivo dei londinesi, non sono passati neanche cinque minuti che mi è iniziata a ribollire dentro la brama demolitrice di segare in due l’albero di natale, di spaccare le vetrine alle taverne e osterie in franchising del presepe, derubare poi i re magi dei loro doni da ricchi per darli ai pastori affamati e infreddoliti. E infine regalare tutta la mia porzione di baccalà, olive bianche e insalata di rinforzo al rumeno con la fisarmonica che è venuto a chiedere qualche centesimo sotto al palazzo.
A sfacelo compiuto, è arrivata, direttamente dai vapori della cucina, mia nonna la quale saggiamente mi ha redarguito, facendomi notare che in fondo quello dei Conflict è solo un video gonfiante e rocambolesco come tanti se ne vedono e che, a dire il vero, sale una rabbia maggiore quando in tv vedi che tocca al Gabibbo farsi portavoce dei senzatetto presso le autorità.
La verità sta, se volete, nel mezzo. È vero che la vista del corpicino di giovane cristo straziato a Piazza Alimonda si è trasformata troppo di frequente nella cartolina funerea dei movimenti antagonisti, verissimo. Inutile negare inoltre che la sensazionale forza iconografica degli scontri tra manifestanti e polizia è tra le fette più “appetitose” – e perciò più inflazionate – del patrimonio audiovideo degli ultimi tempi. In questo senso, la critica della nonna è più che approvabile.
C’è un problema formale però alla base: appare lampante che il furore musicale di un gruppo che da decenni passa da un palco all’altro del globo sobillando le folle, calzi a pennello, risulti insomma compimento sonoro ineguagliabile delle immagini “agonistiche” del video e di contenuti del brano: “…Bush rubs Tony’s warhead, shoves it down the starving child’s throat…”. E’ la morte sua, si direbbe in gergo gastronomico. Niente di più azzeccato.
Anche la nonna, dopo aver visto-sentito “Carlo Giuliani”, ha dovuto convenire su questo punto. Perciò, subito dopo, abbiamo cominciato entrambi a lanciare miriadi di palle dell’albero di natale incendiarie contro l’amministratore di condominio, sottospecie urbana di tiranno imperialista.
Autore: Sandro Chetta