Le giornate si stavano ancora allungando quando il package dei Deadburger ha varcato la soglia di questa redazione. Sono successe troppe cose per spiegare questo slittamento, ma devo ammettere che l’autunno si confà più che bene a “s.t.0.r.1.e.”. Pur con un bazzicare quasi decennale (che ha fruttato due album, un EP e partecipazioni a varie compilation) nell’underground, il nome della band fiorentina, che fa tanto anti-McDonald (panino morto – e vi risparmio altre fantasie necrofaghe sulla carne che ci servono), giunge per la prima volta alle ormai consunte orecchie di chi scrive.
13 brani (uno dei quali bissato a fine disco) per 13 colori, corposo booklet esplicativo di ognuno di essi in allegato (non so se anche nei negozi…), camei vari di ospiti più o meno illustri (dal “mammasantissima” delle partecipazioni Roy Paci all’ex “scismatico” Paolo Benvegnù, da Odette Di Maio ai fratelli Costa dei Quintorigo, e altri), certosina cura nei dettagli, sonori e non, dei brani. Due anni di lavorazione che hanno portato a un risultato di ottima fattura (da un punto di vista di professionalità/precisione, se tutto ciò ha un senso in campo artistico).
Già, il lato artistico. I Deadburger coltivano come molti l’ambizioso progetto di allargare il solco della canzone (propriamente detta) a elementi “distorsivi”, che scardìnino i clichè formali meno desiderabili. L’elettronica fa la sua parte, nell’aggiungersi al classico “assetto” elettrico, in questo programma. L’iniziale ‘110 Giorni’ (la somma media del tempo trascorso, nell’arco di una vita, a fare l’amore – un po’ il booklet l’ho letto, eccheccacchio), pur non rendendo ancora questa idea, è un’ottima canzone, un po’ “agnelliana” nella capacità di infondere un crescendo di emozionalità e intensità in una canzone essenzialmente pop.
Nel prosieguo il disco comincia a manifestare le sue intenzioni/ambizioni. Buona semina, raccolto un po’ alterno: l’inasprirsi della voce di Simone Tilli – sorta di “motore” del gruppo – e certi giochetti al sampler un po’ eccessivi, ad esempio, faticano a entrare nel meccanismo e nelle trame della canzone pop – col rock sarebbe stato più facile -, sortendo effetti leggermente caotici. Eppoi, scusate, dal vivo?
L’interrogativo è presto risolto dal CD-bonus che non credo si sia trovato nei negozi (un domani, chissà – non ci giurerei visto il proliferare di live & unreleased versions sul mercato). Quattro i brani del disco ripresi in questa “registrazione prova in cantina”, insospettatamente fedeli agli originali (nno sembrava facile, intendo dire), più una cover di Iggy Pop (‘Dum Dum Boys’ – non conosco, mi spiace) tradotta in italiano.
Ah, dimenticavo: c’è una label olandese (la Wot 4, appunto), che s’interessa a ciò che succede in Italia. Interessamento abbastanza ben ripagato. Chi è il prossimo?
Autore: Roberto Villani